La stranezza
- Gianni Spartà
- 31/10/2024
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Toga e lupare
”La mafia alligna e prospera dove lo Stato è assente”. Avveniva storicamente nei luoghi d’origine, Sicilia, Calabria, Campania, è avvenuto, avviene in Lombardia. Così si spiegano le “tante, troppe elezioni di sindaci mafiosi” anche al Nord. E non per una consapevole collusione tra i boss e chi li vota, ma perché i cittadini “…vedono le istituzioni latitare e i clan sostituirsi ad esse nel soddisfare i loro bisogni”. Se Armando Spataro, già procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Milano, pronunciasse queste parole a un convegno di sociologi, l’effetto sarebbe limitato. Cose se non risapute, verificate in centinaia di inchieste. Ma se i pensieri di una toga accompagnano con una quindicina di pagine il libro scritto da un assassino convertito della ‘ndrangheta, Antonio Zagari, le riflessioni pesano come il piombo di un fucile a canne mozze. Lo sfogo di un giudice nel guerra dei trent’anni tra due poteri “separati” dello Stato, almeno a rigore di Costituzione? No: Spataro, a differenza di Di Pietro e Nordio non è mai diventato ministro. Piuttosto vale la sottolineatura del ruolo determinante dei pentiti, in un volume dal titolo inquietante, “Ammazzare stanca” (terza edizione per i tipi di Aliberti). Senza il contribuito degli “infami” non avremmo scoperto nei primi Anni ’90 che sequestri di persona, estorsioni, lutti e sofferenza, li hanno pilotati mafie infiltrate al Nord dove c’è pane da azzannare con i denti del ricatto. E invece, anche all’epoca di governi di centrosinistra, ci furono parlamentari ostili alla protezione dei collaboratori di giustizia: troppi e troppo costosi. Spataro si toglie un sassolino dalla scarpa in un testo nel quale aggiunge : “Tutti sanno quanto le cosche temono i traditori dell’omertà al punto di scioglierli nell’acido, ma non appena essi accennano a complicità nel Palazzo, la politica attacca con inaudita violenza colpendo magistrati che ne raccolgono le rivelazioni”. Scomode. Quante storie di collusioni in Lombardia, specialmente tra Varese e Legnano, a livello di regione e municipi. E quanti proclami imbarazzanti: a Milano la mafia non esiste. Antonio Zagari tradì anche il padre, suo sangue, per sventare un sequestro a Luino. Era schifato da pratiche omicide che aveva sperimentato per “dovere” familiare (“la vacca bruca l’erba del prato in cui pascola”); era ‘ndranghetista per nascita in un paese della piana di Gioia Tauro. E’ morto nel 2004 per un incidente in moto a Roma, viveva sotto falso nome e con l’identità facciale modificata, era stato il grande accusatore del processo Isola felice celebrato a Varese: un centinaio di condanne. Non stupisca che sapesse scrivere: svelto e informato, sarebbe stato un efficace narratore anche senza studi. “Ammazzare stanca” è una sua intuizione che dà il titolo, oltre che al libro, a un film che il regista Daniele Vicari sta girando in Calabria in queste settimane. Sarà nelle sale cinematografiche nel 2025 inoltrato. Dalla sceneggiatura si intuisce una trama intimista: come arriva un killer spietato a “vendere” suo padre che aveva ucciso l’amico fraterno di suo fratello Enzo, dopo averlo rapito? Accadde a Buguggiate negli anni ’70. Ma è la “strana storia” dell’ambiguità tra bene e male, della contiguità tra criminali e amministratori pubblici la chiave di lettura che un magistrato ha voluto far emergere con una domanda atroce: la mafia, dapprima infiltrata al Nord, nel tempo è diventata associata? Girano sul web a proposito di “sindaci mafiosi” i video di carovane di elettori sapientemente infilati su una corriera e portati al comizio del candidato da votare. E ci sono i verbali di interrogatorio di decine e decine di processi con un distinguo, anzi due, che Spataro consegna alla storia: se a Torino il processo al nucleo storico delle BR, i cittadini sorteggiati come giurati riempirono le cancellerie di certificati medici, a Palermo nessuno si tirò indietro quando seppero che c’era il processone alla Cupola trafitta da Buscetta. E poi: i pentiti del terrorismo rosso corsero meno rischi dei pentiti di mafia, figli di un Mezzogiorno arcaico e arretrato nel quale la vendetta contro il traditore era dovere morale. Irredimibile.