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Spalloni di mine

  • Gianni Spartà
  • 27/12/2024
  • 0

Mezzo secolo fa

La droga del bosco accanto. Le tendine arabe di mercanti che aspettano i clienti. La roba consegnata in pellicole trasparenti anche a minorenni. Il fuggi-fuggi tra abeti e faggi in caso di pericolo. Poi i drammi di tante famiglie e le domande: com’è finita mia figlia in quella frontiera proibita? Non la solita periferia metropolitana, sordida, lugubre, abbandonata ma una riserva naturale splendida lungo la linea di confine tra Italia e Canton Ticino, lì dove le valli si perdono nella terra di nessuno. Un tempo questa terra era custodita per via del contrabbando notturno di sigarette, ora è sguarnita. E’ i trafficanti di droga hanno buon gioco a stendere bancarelle ambulanti, a bivaccare con batterie d’auto che servono a tenere carichi i fondamentali telefonini. I messaggi annunciano l’arrivo di compratori o l’avvistamento di carabinieri. Un filo rosso continua a legare Svizzera e Lombardia nelle pagine di un romanzo criminale che si aggiorna in peggio e pare non finire mai. Il confine e i suoi delitti: il titolo potrebbe essere questo.  Ci fu il contrabbando di “bionde” fino agli anni ’70 con diverse varianti. A volte non si trattava di sigarette, ma di orologi, pellicce, farmaci che promettevano rimedi alla vecchiaia. Uno si chiamava Gerovital. Storie romantiche con trame leggendarie: le bricolle, gli spalloni che le trasportavano dal monte al piano, le auto che sgommavano di notte col carico illegale, inseguite dalla Giuliette della Guardia di finanza. E’ accaduto che ci scappasse il morto. Quando non si faceva male nessuno, i tribunali punivano non severità gli autori di reati riconducibili all’evasione fiscale. Perché di questo si trattava: frodi tributarie ai danni del monopolio sui tabacchi e delle tasse su alcuni generi di lusso. Poi si alzò l’asticella. Una notte del 1973 il latrare del cane lupo di un contadino fece scoprire nei boschi di Dumenza, sopra Luino, un trasporto di mine anticarro e antiuomo trafugate dai depositi dell’esercito svizzero. Terrorismo internazionale: militanti di Soccorso Rosso, tra i quali figuravano una pasionaria tedesca e un noto avvocato milanese, volevano armare la resistenza di estremisti spagnoli contro un paventato golpe di destra. Così giustificavano lo strano contrabbando. Ci fu un processo che fece epoca a Varese. Lo seguirono inviati dei grandi giornali perché un traffico di materiale bellico una variante alla guerriglia urbana e il coinvolgimento di personaggi di spicco illuminava il retrobottega della lotta di classe. In prima linea studenti con le loro contestazioni e operai con rivendicazioni salariali. Dietro, professionisti, intellettuali, gente della buona borghesia milanese in contatto col terrorismo internazionale. Quelle mine fatte scoprire da un cane annunciavano tempi bui. Nel Varesotto non ci furono per fortuna fatti di sangue ma una serie innumerevole di attentati a caserme e a dirigenti industriali. Quando a Milano negli anni successivi ci fu la resa dei conti giudiziaria si scoprì che tanti “ragazzi di piombo” erano delle nostre parti. Allievi di maestri del pensiero marxista, soldati agli ordini di caporali che insegnavano le regole della banda armata. Ma Varese conobbe anche lo stragismo di marca neofascista con l’esp0losione di una bomba nascosta in una batteria d’auto nell’attuale piazzale Kennedy, fine marzo del 1974: morì casualmente un povero fioraio. E poi ci fu la cattura a Casciago, sempre nei boschi, di due esponenti dei Nar che viaggiavano con chili di tritolo. Vennero fermati in tempo: nei loro piani due attentati, uno allo stadio Franco Ossola durante la partita tra Varese e Roma, l’altro alla diga di Creva nel Luinese. Il terrorismo di cinquant’anni fa, lo spaccio di droghe chimiche micidiali oggi. Come non considerare con nostalgia l’epoca degli spalloni?

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