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Mutuo soccorso, l’Italia s’è desta

  • Gianni Spartà
  • 26/06/2020
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Raccolto un miliardo

Ma l’Italia s’è desta davvero, stavolta non dopo un devastante terremoto, neanche dopo una disastrosa alluvione, ma per un morbo malefico che ha seminato di bare l’intero pianeta, allineandone quasi quarantamila alle nostre latitudini? Ho girato la domanda a una sociologa e mi ha risposto che quando un aereo comincia a perdere quota anche l’agnostico si mette a pregare. Poi il velivolo recupera stabilità e le Ave Maria evaporano insieme con la paura. Mi ha fatto l’esempio dei vaccini: i no-vax sembravano scomparsi, ora che l’emergenza Coronavirus pare sotto controllo, con la solita raccapricciante eccezione della Lombardia, i talebani del libero morbillo riprendono fiato. Ci sono buone ragioni per respingere la visione catastrofista. Davanti alla pandemia, il Paese ha fatto quadrato attorno a un sistema pubblico rivelatosi insostituibile e non per codardia personale, ma per convinzione collettiva. Il salvadanaio della Protezione Civile, propagandato ogni ora sulle reti televisive, ha un saldo provvisorio di 165 milioni di euro, in parte già distribuiti alla sanità. Ma il ruolo dei leoni appartiene ai donatori di cuore, cittadini e aziende, grandi filantropi e piccoli benefattori, che hanno messo insieme un tesoro di oltre un miliardo di euro regalati per sconfiggere il Grande Bastardo. Come vogliamo aggettivarlo questo tesoro? Della solidarietà, della sussidiarietà, della partecipazione? Tutte parole abusate. A noi piace attribuirlo alla suprema, laica virtù della responsabilità civile. Non c’è chi non si sia sentito in dovere di superare l’antico pregiudizio: perché devo mettere mano al portafoglio io, se già pago profumatamente nella denuncia dei redditi il corrispettivo di un servizio garantito dalla Costituzione? Dimentichiamo per un attimo la vasta platea degli evasori che magari si sono ammalati e agli ospedali pubblici, non alle cliniche private, devono dire grazie per esserne usciti vivi. L’Italia ha fatto rete nel Terzo Settore costituito da fondazioni, associazioni, cooperative e quel miliardo è lì a dimostrare tre cose: esso si è rivelato necessario come il pane per acquistare con urgenza macchinari salvavita, improvvisare la costruzione di ospedali supplementari, togliere medici e infermieri dall’atroce scelta di chi curare e chi abbandonare; ha dato la stura a iniziative domestiche e locali mobilitando boy scout, alpini, pensionati, mense ed empori dei poveri, mamme e nonne che si sono messe a cucire mascherine, quando non ce n’erano, le rubavano, le bloccavano nelle dogame; quelle risorse, infine, hanno sollecitato i servizi sociali di migliaia di comuni a prendersi cura di chi non era rimasto senza respiro, ma banalmente solo a parole, stava in casa vecchio e solo e ricevere la spesa a domicilio. Che equivaleva in quei momenti drammatici a una terapia intensiva. E qui la differenza non l’ha fatta il soldo raccolto, bensì l’altruismo ritrovato. Ora è tempo di mettere a frutto queste esperienze e di farlo senza aspettare i decreti di Palazzo Chigi: ce ne fosse stato uno che non abbia scatenato vergognose baruffe politiche. No, su questo punto l’Italia non s’è desta affatto. Anzi. Ma che cosa fare di autenticamente civico? Riscoprire il mutuo soccorso che nel dopoguerra aiutò gli italiani a risollevarsi, radunare in fondi di cittadinanza socio-sanitaria quel che resterà dei soldi raccolti per il Coronavirus sia nelle casse degli enti pubblici (ospedali, comuni, regioni), sia nei conti correnti delle organizzazioni private. Ciascuno cominci a pensarci nel luogo in cui vive affidando la pratica, non alla politica, ma al senso di appartenenza a un territorio. Ciascuno individui garanti al di fuori di ogni interesse di carriera e al di sopra di ogni tentazione narcisista, cui fare il seguente discorso: queste risorse sono di tutti e di nessuno. Servono nel caso si ripeta, Dio non voglia, il putiferio di una epidemia o di qualche altro accidente, sono a disposizione per i bisogni urgenti di famiglie, rappresentano il buon cuore di migliaia di persone da far palpitare se improvvisamente una comunità si trova in pericolo. Non essendo un economista né un uno dei troppi esperti che hanno affollato i talk-show e i comitati tecnici,  non saprei attorno a quali ingranaggi finanziari potrebbe girare questa ruota. Nei Paesi anglosassoni il connubio partecipato tra charities e organizzazioni pubbliche, questa ruota gira. Poi si potrà pensare ad altro: ad esempio ai Buoni di salute pubblica emessi dalla Repubblica alla stregua di un’obbligazione. Dove salute s’intenda in senso lato: non solo benessere fisico, anche rimedi alle tante povertà sociali. Lo Stato è insostituibile: impari dalla lezione del Coronavirus che mercato e solidarietà sono giocatori indispensabili. Ma non solo come bancomat.  

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