Quelli del volo
- Gianni Spartà
- 04/12/2020
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Varese faccia memoria
Tocchi il cuore a Varese e il cuore di Varese fibrilla. In questo dicembre disgraziato le palpitazioni nel petto collettivo riguardano il rudere di via Sanvito che racchiude le antiche glorie di un simbolo: l’Aeronautica Macchi, anno di nascita 1913, pane sicuro per migliaia di operai, impiegati, dirigenti, progettisti, venditori. E anche per altrettanto numerosi fornitori, il famoso indotto. Almeno sei generazioni. Ora sapete che c’è stato un colpo di reni: una cordata di imprenditori ha presentato a Palazzo Estense una richiesta di concessione urbanistica per fare che cosa bene ancora non si sa, certamente per fare giustizia (non gratis) dell’insulto patito da quelle sacre mura. Prima, negli anni ’90, l’utilizzo improprio per ospitare là dentro i maxi processi alla ‘ndrangheta e a tangentopoli, poi l’abbandono in seguito al crac dei nuovi padroni. Come nel calcio, ciascuno ha postato il suo sogno tra le lettere a questo giornale e sui social. E come nel calcio ecco le raccomandazioni all’arbitro (pubblico) e le ramanzine ai commissari tecnici (privati). Dunque liberi, questi ultimi, di impostare le loro tattiche. La partita è appena iniziata, lasciamo che la palla scivoli sul prato e speriamo arrivi il gol. Intanto ripassiamoci la storia di questo territorio che cominciò a volare subito dopo il primo salto nell’aria dei fratelli Wright a bordo in trabiccolo con le ruote di bicicletta. Le Frecce Tricolori viaggano da anni sul Macchi 339, progettato da un ingegnere naturalizzato varesino, Ermanno Bazzocchi, che aveva messo la firma, anni prima, su un altro aereo, l’MB 326, reperto storico oggi piantato nelle rotonde stradali di numerose città italiane. Si chiama Roma-Chicago la prima trasvolata atlantica con Italo Balbo al comando di uno stormo di venticinque aquile d’acciaio. Ma quegli idrocorsa scesero in acqua dal molo Sant’Anna di Sesto Calende dove sorgeva la fabbrica che li aveva messi a punto in vista dell’evento mondiale. Passiamo alla saga degli elicotteri: furono gli Agusta, siciliani trapiantati a Malpensa, a procurarsi una licenza americana nel dopoguerra iniziando a costruire qui macchine allora stupefacenti. Se ciò non bastasse, il teorema delle consolidata signoria di Varese su affari di volo venne confermato a Milano quando inaugurarono di lato al Duomo il museo del Novecento. Gli allestitori pensarono di presentarlo mettendo nella sala d’ingresso uno di quegli idrovolanti, cari a Liala e a D’Annunzio, che decollavano dalle rive della Schiranna, e il primo elicottero realizzato a Cascina Costa. La brughiera di Gallarate con i suoi enormi spazi ha probabilmente spianato la pista ai pionieri quando il volo era ancora un fenomeno da circo. E’ vero: l’aeronautica italiana ha pagato un prezzo altissimo alla sua contiguità con le vicende di guerra, il vizietto nostrano di buttare tutto in politica ha pesantemente condizionato la cultura di un popolo e sciaguratamente condannato all’oblio autentici eroi che ebbero la colpa di lanciarsi a capofitto sulle navi nemiche ai comandi di aerosiluranti durante i due conflitti mondiali. Amava il volo Mussolini, erano piloti Hitler e Goering: tutto ciò ha alimentato il pregiudizio verso una disciplina che fu interventista, nazionalista, fascista, futurista, ma ha camminato sulle gambe di personaggi animati da sincero amore per la loro terra e da incrollabile volontà di difenderla. Anche la pattuglia acrobatica nazionale, in certi periodi, è stata guardata con un sospetto più forte dell’orgoglio. Vivere d’aria. Quanti personaggi e interpreti di questo film: Carlo Del Prete, Francesco De Pinedo, Arturo 0Ferrarin, Umberto Maddalena, Mario Calderara, Carlo Felice Buzio, Filippo Zappata, Guido Carestiato, Mario Castoldi, Ermanno Bazzocchi, Domenico Agusta, Paolo Foresio. E ancora Alessandro Marchetti, Mario Stoppani, Mario De Bernardi. Tutti piloti, collaudatori, ingegneri, imprenditori, molti pionieri, qualcuno eroe. Dormono sulla collina come i personaggi di una Spoon River del cielo che, indipendentemente dai luoghi di nascita dei sepolti, potremmo immaginare col baricentro tra i sette laghi. Perché non costruire nel Varesotto un famedio del volo? Lanciammo questa idea e fioccarono telefonane di assenso. La rilanciamo quando torna alla ribalta il nome di un’azienda storica. Tifo per niente e per nessuno, interesse zero. Ma se in un angolo di ciò che sorgerà nella spianata di via Sanvito ci fosse una stele della memoria dedicata a “quelli del volo”, in guerra e in pace, ci leveremmo il cappello.