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Alexa e Alice

  • Gianni Spartà
  • 04/01/2021
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La staffetta delle meraviglie

La mia bisnonna non si dava pace sentendo una voce umana uscire da una delle prime radio domestiche. Ingenua ma contadina, dunque abituata a spiegare sempre quanto accadeva nei campi della sua Sicilia, non poteva ammettere che una persona stesse dentro a “na cascitta”, una cassetta. Il tormento d’una donna dell’Ottocento mi è tornato alla mente la vigilia di Natale: stavo riconciliandomi col vecchio impianto stereo, fermo da venticinque anni, e mi dava eccitazione il primo vinile che a dispetto della polvere tornava a girare sul piatto Thorens. Senonché sotto l’albero ho trovato una sfera grande quanto una palla da tennis, muta come una sfinge fino a quando non la si chiama col suo nome: Alexa. A quel punto le si illumina la circonferenza e se le dice di suonare musica di Beethoven obbedisce ai comandi, idem se le chiedi di recitarti l’incipit del quito canto dell’Inferno e se le ordini di accendere e spegnere la luce di una lampadina abilitata. Non mi sono domandato chi ce l’ha messa in quella palla parlante una mansueta governante. Ma nell’anno primo DC ho pensato che quella era una metafora adattabile ai tempi nostri, grami e straordinari, terribili e istruttivi. Volendo. DC sta per Dopo Covid, l’avete capito. Il concetto è questo: gli opposti si attraggono, come il ferro e la calamita, come il giradischi e Alexa. L’hanno battezzata così bleffando con la storia: in realtà non c’entra la Bibliotheca Alexandrina, pozzo di scienza ellenica, ma la consonante X che rende la parola più riconoscibile. I due strumenti fanno la stessa cosa: comunicano suono e verbo. In  mezzo c’è un secolo di scoperte che segnano la fine di un mondo antico e ci proiettano in un vivere  radicalmente diverso. Al quale eravamo connessi anche prima del 20 febbraio 2020, data di nascita della pandemia bastarda, ma ci facevamo meno caso. Avevamo poco tempo e tanto spazio, poi la piramide si è capovolta nei mesi della clausura e in uno spazio ridotto abbiamo guadagnato un tempo dilatato, oltre che dalla  paura orribile, dalla conoscenza profittevole. Avrete notato la scarsità delle immagini nei bilanci che si pubblicano e si trasmettono a fine anno. A parte il dolore dei  lutti celebri (se ne sono andati Morricone, Severino, Gregoretti, Gigi Proietti, Franca Valeri, nel nostro mestiere di scribi, Gervaso, Pansa, De Laurentis, Gianni Mura, in quello del calcio Maradona e Pablito Rossi), dominano gli amarcord il bianco e il verde dei camici ospedalieri, il giallo e il rosso delle giubbe di quanti, su ambulanze e camionette, ci aiutano a sopravvivere. Ma anche il grigio di anonime anime che, a loro insaputa, hanno intercettato l’antifona: se siamo creature vulnerabili, se ciascuno ha avuto bisogno degli altri, la disgrazia può toccare a tutti, ricchi e normali. Dunque, su le maniche. Non ci piace la parola solidarietà, preferiamo chiamarla economia civile. Abbiamo imparato che non si campa di solo prodotto lordo, prima viene la “p” di piacere netto. O di povertà che improvvisamente, da che erano invisibili, sono piombate al centro delle scena. Quante code ogni mattina nella grande Milano, ma anche nelle città di provincia, per ritirare un sacchetto con il pane quotidiano. Più europei che extracomunitari, come gli inglesi- chi l’avrebbe detto?- davanti alle mense, agli empori e agli armadi della pietà. Nel messaggio di Capodanno, di cui non ci sorprende l’audience (15 milioni di telespettatori), il presidente  Sergio Mattarella ha generosamente sprecato fiato: il suo “basta ai vantaggi di parte” non ha scalfito, al di là di ipocriti convenevoli, lo stuolo di facce di bronzo. Se qualcosa nel 2021 andrà meglio, sarà per il coraggio e la resistenza dei sudditi, non per l’ignavia dei sovrani. Gli unici a sentirsi ancora invincibili samurai, capaci di non soffrire per le ferite  del Covid e i itardi nelle vaccinazioni.  Il vero antidoto, nel vociare di presuntuosi e arroganti, è il silenzio di quanti si sporcano le mani. Ci sarà una fine e, come quando tacque il cannone della seconda guerra mondiale, conteremo le tragedie dei vivi, avendo metabolizzato il numero dei morti. ra, anche pensando che il cerotto di sussidi e redditi garantiti cancellasse la malattie profonde di società che si sono illuse di distribuire scampoli di ricchezza ammonticchiando debiti e sprechi. Una certezza: il paese di Alice è morto e sepolto, lo ha reso evidente la crudeltà della pandemia. Oggi ci ritroviamo tra le meraviglie del mondo di Alexa. Servano non a distrarre, ma a ricostruire adesso che, per colpa di un virus vigliacco, è finito il sonno della ragione.  

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