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Qualcuno era comunista

  • Gianni Spartà
  • 25/01/2021
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E prima era di GS

Sì, qualcuno era comunista anche a Varese e forse soprattutto qui dove negli anni ’70 esplodevano le contraddizioni sul modello Carlo Saronio (si legga il bel libro di Mario Calabresi), rampollo della migliore aristocrazia milanese, talmente ricco da provarne vergogna. E da lasciarsi travolgere tra le correnti della ribellione studentesca nei cui flutti  affioravano le pinne e i denti dei cattivi maestri. Lo sfruttarono, lo rapirono, lo uccisero. Loro erano professori, predicavano l’odio e hanno rovinato una generazione per poi mettersi al sicuro in Francia. Sì, qualcuno era comunista - più comunista del Pci che compie cent’anni - perché prima era stato di GS e scriveva sul “Michelaccio”, un giornale studentesco di cui erano caporedattori due futuri cardinali, Angelo Scola e Attilio Nicora. C’è un documentato legame tra questi due mondi: gli opposti si attirano e in fondo Cristo fece la rivoluzione prima di Marx. Anzi lui la fece, l’altro no. Almeno nel mondo occidentale ancora prigioniero di imbarazzanti diseguaglianze sociali contro la dignità dell’uomo. C’è voluto un mostro pandemico per infilarci tutti nella stessa barca. Ci piace raccontare una storia che ebbe come palcoscenico il liceo classico Cairoli e come attori un prete appena scomparso, don Fabio Baroncini, seguace di Giussani, e un insegnante di filosofia, Cesare Revelli, comunista fino al midollo. I due andavano d’accordo al limite dell’eresia, vista dal pulpito della Curia, della censura scrutata nelle severe stanze dell’ortodossia rossa. Il primo diceva che, andando a scuola la mattina a insegnare religione, vedeva Gesù e gli parlava. Il secondo incontrava Lenin e Mao Tse tung. Poi si trovavano a fare lezione insieme nella stessa classe per svelare ai ragazzi insospettabili analogie. Al bando i partiti, la Dc, il Pci, Democrazia Proletaria. I discorsi erano d’alto profilo culturale, miravano a declinare la modernità che non poteva essere appiattimento del pensiero. Qualcuno era comunista perché si recava nello studio di Radio Varese, la “prima emittente libera nell’Occidente occupato”, trasmetteva canzoni non di Orietta Berti e Little Tony, parlava di diritti civili, politica corrotta, divorzio, aborto, ma al babbo industriale e alla mamma devota raccontava d’essere stato al cinema o al bar. Tombola: grida di guerra, si fa per dire, nella città borghese, tranquilla,  quasi svizzera, liberale, al massimo socialista, in ogni caso conservatrice. Davanti a un piatto stereo e fili volanti l’allegra brigata viveva l’impressione di stare su una nuvola, nel cielo di un’altra galassia. Dagli spazi siderali pensieri e parole, soprattutto note, invadevano l’etere di una città democristiana  che qualche tempo dopo sarebbe diventata la Betlemme della Lega. Grazie a qualcuno comunista per davvero. Sull’onda di Longuita, canzone degli Inti Illimani, sfidare il monopolio di mamma Rai era eccitante. Chi l’aveva fatto con una tv, Telebiella, s’era trovato in studio la polizia. Fine dell’avventura. Qualcuno era comunista, infine, perché si sentiva felice, trasgressivo, impegnato, più schierato con i radicali di Pannella che con i direttori dell’Unità. In fondo la sinistra d’allora, prima della dissoluzione dei nostri tempi, diceva di essere un sindacato. E oggi, a un secolo dal congresso che a Livorno sancì la nascita del Pci come sezione italiana dell’Internazionale comunista,  all’indomani della scomparsa di Emanuele Macaluso? Non c’è una sinistra presente nella società, non c’è una destra capace di fare a meno dell’iperbole populista, si rovista nelle soffitte della Prima Repubblica per tirare a campare che è meglio di tirare le cuoia. Oggi c’è Conte uno e trino per scongiurare la croce in un’Italia infetta alla disperata ricerca di radici irrimediabilmente tagliate. Non si può nemmeno dire che moriremo democristiani. I vecchi arnesi del Partito-Paese sono inimitabili, maneggiati dai contemporanei danno uno spettacolo grottesco. I franchi tiratori avevano una certa classe, gli svelti costruttori sono figuranti.

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