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Doroteo a sua insaputa

  • Gianni Spartà
  • 08/02/2021
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Draghi per tutti

Va così da qualche tempo in qua nel Palazzo: si entra da tecnici o a salvatori della patria e se ne esce condottieri di qualche formazione politica. E’ successo a Mario Monti, sta succedendo a Giuseppe Conte, succederà a Mario Draghi. Che dopo un breve giro di pista al governo, il tempo di zittire LawRenzi d’Arabia, sostituirà Sergio Mattarella al Quirinale. Il fenomeno non è casuale dalla scomparsa dei partiti come li abbiamo conosciuti nel dopoguerra, più tardi negli anni cupi del terrorismo, infine in quelli allegri della Milano da bere. Poi andò in onda la fiction intitolata Seconda Repubblica. Con mille parlamentari, ora ridotti a seicento, se qualcosa va male, l’uomo del Colle per fare un governo è costretto a rivolgersi a un oriundo non eletto dal popolo. Anzi non nominato perché il disturbo di scegliere ci è stato tolto. La politica di scuola è in disarmo, pochi di quanti la frequentano si rivelano competenti, affidabili. Sono pure arroganti. Ma c’è un guaio: non si buca il video del consenso popolare senza schierarsi e anche agli alieni devono adattarsi. Suona ingenerosa la critica a Monti per aver ceduto alla tentazione di fabbricarsi un partitino. Doveva dare qualche ricompensa ai professori che l’avevano seguito: gente anche ambiziosa. Si bruciò. Sbagliava chi pensava che, sfrattato dal Palazzo Chigi, Giuseppe Conte sarebbe tornato nello studio legale e all’università. Ha obblighi anche lui verso quanti lo cavarono dal buio e gli misero tra le mani una biga trainata da due cavalli pazzi. E poi, diciamolo, guidare una coalizione è affascinante. Primo: può scapparci un ministero. Secondo: con un elettorato volubile e imprevedibile si può avere fortuna. No, Renzi è inimitabile: non vedremo mai Conte spuntare con un cammello e con la Boschi velata. Però l’Avvocato ha da mettere all’incasso il favore dei sondaggi: più della metà gli manifesta gratitudine. A nessun premier è capitato d’affrontare una peste planetaria e un crollo del Pil in un Paese già ammaccato prima del Covid. Beh, la posizione di Mario Draghi è un po’ diversa. Non si può dare del non politico a uno che, direttore generale del Tesoro, faceva saltellare come grilli i ministri. Loro cambiavano, lui restava lì. A fare che cosa se non a partecipare a tutte le convention riservate a banchieri, lobbisti, segretari di partito, a tessere la tela della concertazione con le parte sociali, industriali in testa? Poi il salto in Europa dove lo considerano un fuoriclasse, tralasciando il sarcasmo solitamente riservato a noi italiani. Insomma, dove c’è Draghi c’è da sempre la politica. Ne sfuma la parodia osservata nelle ultime settimane. Figuranti e comparse lasciano fare al regista senza pretendere di leggere un copione che non capirebbero. Tutto questo sarà salutare, aggettivo non scelto a caso: il mostro è sempre sullo zerbino di casa e ha imparato a mascherarsi. Nei laboratori di microbiologia le chiamano varianti. Draghi se la sbrigherà in poco tempo. Alla guida del Pd c’è un tipo pratico e conciliante, Berlusconi s’è destato dal suo letargo di plastica e alla sua età, con la sua carriera non può permettersi d’approvare la presunzione della Meloni che sbraita per le elezioni sapendo in cuor suo di perderle. Restano Cinque Stelle e Lega. Grillo ha messo una pietra sopra alla “primavera araba” del movimento che sfasciava tutto, buona parte dei suoi è disposta a fare squadra con Conte lasciandogli la fascia di capitano al braccio. Solo una settimana egli fa ha avuto la fiducia del Parlamento.  Poi c’è la “rivoluzione d’ottobre” della Lega rinviata da trentacinque anni. Infiltrato da anni nel salotto degli  Zar, Giancarlo Giorgetti ha avuto buon gioco a spegnere gli ardori del Lenin della Bovisa. In ventiquattro ore MatteoSalvini è diventato europeista. D’altra parte ieri l’altro era Santa Dorotea padrona di giardinieri, fiorai. E democristiani. Ma non confondiamo il grano con le ortiche.  Gianni Spartà  

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