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Il Drago bruci i burosauri

  • Gianni Spartà
  • 19/02/2021
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Transizione etica

La transizione ecologica è un atto dovuto, speriamo non tardivo. Ed è un bel cambio di passo la transizione digitale. Non c’è più nulla che si possa fare senza la leva informatica: resta il problema di non lasciare indietro nessuno. Ma c’è una terza transizione, non detta, ed è quella del buon senso nell’agire della pubblica amministrazione. Il guaio è antico: la gente comune, i sistemi economici soffrono l’ostilità della burocrazia che, per paradosso, finanziano. Il cittadino entra in un ufficio e ne esce quasi sempre con un problema, quasi mai con la soluzione. Da una ventina d’anni in qua tutti i sedicenti semplificatori - uno dei quali si fece riprendere dalle telecamere mentre dava fuoco a una montagna di carta filigranata-  hanno acceso le speranze del popolo. Senonché, finito il falò , tutto è rimasto uguale a prima. Come si senta il burosauro rincasando la sera col pensiero di aver addosso centinaia di maledizioni è intuibile: scattano l’autodifesa in pubblico e, solo nei casi di persone sensibili, la frustrazione in privato. La colpa, in ogni caso, è di un organismo che si riproduce per partenogenesi, in natura lo sviluppo di un uovo non fecondato, nella metafora amministrativa la moltiplicazione prodigiosa di leggi, decreti, modifiche, regolamenti attuativi, cui Mario Draghi ha il dovere di dare un taglio netto se vuole  modernizzare lo Stato. Ciascun italiano ha una storia di cattiva pubblica amministrazione da raccontare. Quanto spreco di tempo e di capitale umano. Ora l’Europa ci passa una super paghetta, chiamiamola così, ma per poterla spendere bisogna subito eliminare  l’immensa selva oscura di timbri, bolli, veti percepiti come odiose complicazione di affari semplici. E per disboscare non ci vuole l’accetta o il macete, ma il napalm. Che è una brutta immagine, ma rende l’idea di come la Repubblica abbia continuato ad avvitarsi su se stessa dopo che negli anni ’70 un altro famoso banchiere, Guido Carli, denunciò per la prima volta i lacci e lacciuoli di cui eravamo tutti prigionieri. Egli non poteva immaginare, allora, l’avvento dell’era digitale, Draghi ne è il vessillifero, dunque buona fortuna e a lui e ai tre-quattro maghi della conoscenza tecnologica che ha arruolato nel suo governo in assoluta autonomia. Il  punto di partenza potrebbe essere  vietare ai pubblici uffici di scartavetrare la pazienza dei cittadini elencando nei tradizionali moduli prestampati documenti da procurare. “Ma scusi”, obietta il cireneo preparandosi a portare la croce, “queste carte non le avete già voi nei vostri tabulati?” (copie conformi di contratti, dati catastali, identità personali e fiscali). “Sì, caro signore. Ma ce li deve esibire lei”. “E perché?” “Perché noi siamo un ente territoriale e da qui non possiamo accedere”. Accedere: il verbo è indigesto come un logaritmo ed è lo scoglio contro il quale s’infrange regolarmente la speranza non di fare presto, ma di fare prima. In poche parole: nel corpaccione dello Stato la mano destra non può sapere che cosa fa la sinistra. Basterebbe un “clic”, monosillabo magico, se i sistemi informatici dialogassero, come  fossero maglie della stessa rete. Ma non lo “possono” fare, per legge. Follia. Beh, se vogliamo facilitare, agevolare, accorciare, rammendare lo “devono” fare adesso, subito, al massimo domani fin tanto la politica ha le orecchie basse e la coda tra le gambe. E allora la transizione sarà prima di tutto sociale, anzi  etica. Come siamo messi ormai è di diffuso dominio: i frati si sono impoveriti a causa della pandemia sanitaria e delle disgrazie economiche che si sta lasciando alle spalle e ai lati non solo delle piste da sci; il convento non è mai stato così ricco e il priore ha un passaporto internazionale, vedremo fino a quando. L’Europa ci ha messo dietro la lavagna diverse volte negli ultimi quindici anni per i processi-lumaca dietro ai quali ci sono spesso tragedie umane non indennizzabili. A una ministra di queste parti, reduce dall’aver presieduto la corte costituzionale, Marta Cartabia, si chiede il miracolo di una giustizia che non s’incarti per la l’obiettiva farraginosità delle procedure nei tribunali ma anche per le corporative renitenze di categorie che di essere riformate non ne vogliono sapere. Il guaio italiano non riguarda una branca dell’organizzazione, bensì l’intero molosso normativo gonfio di duecentomila leggi dello Stato ai quali vanno aggiunte le cinquantamila prodotte dalle Regioni. Tra l’altro, in questi mesi drammatici abbiamo sperimentato solo conflitti tra poteri centrali e periferici. Il povero Conte emanava, comprensibilmente, un dpcm la settimana dovendo adattarsi alle giravolte bastarde del Covid. A un Drago plurale dovrebbero bastarne due o tre per aprire le fauci e sprigionare le fiammata giusta.

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