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La moglie del magutt diventato re

  • Gianni Spartà
  • 14/03/2021
  • 0

Mimma Rusconi

Com’erano le mogli dei leggendari cumenda degli anni ’60: miracolo economico, dolce vita romana, vacanze a Capri, tempi spensierati? Come vivevano accanto a uomini con la voce grossa e il cervello fino, pochi libri, tanta passione per gli affari? Ipotizziamo le categorie: rassegnate, disincantate, complici, dominanti ma garbate. Le ho contemplate pensando a Felice Rusconi, audace cementiere a Caravate dopo aver costruito i migliori palazzi di Milano, tra il Duomo e San Babila. La Terrazza Martini è opera sua. Lo conobbi da vicino nel 1986 scrivendo la biografia del capomastro diventato re: sulla copertina volle il simbolo della sua vita, la statua di un manovale con il secchio della malta su una spalla. E in un moto d’affetto mi è tornata in mente sua moglie Mimma Contini, scomparsa qualche giorno fa, una bella signora della Varese Felix, slanciata, bionda, gli occhi azzurri. Ecco: lei è stata la sintesi mirabile dei caratteri sopra accennati con tre aggiunte, la classe, l’intelligenza, la pazienza. Aveva del suo Mimma. Era maestra alla Scuola europea, ebbe tra i suoi allievi i rampolli della buona borghesia del tempo, uno dei quali, Gigi Prevosti, le ha dedicato questo addio: la vita non l’ha voluta madre. ma lascia tanti orfani. Che Mimma fosse una sorta di tutor di Felice, personaggio  sempre in corsia di sorpasso, lo capii il giorno in cui svelai il titolo del libro che avevo scritto: “Rusconi, la carriera di un magutt”. Lui restò muto, temetti d’essere cacciato a pedate dalla sua villa faraonica al Ferro di Cavallo tra i sobborghi di Masnago e Sant’Ambrogio. Lei disse due parole: bello, la verità. E il biografato ordinò al maggiordomo di casa una bottiglia di champagne. Quel volume finì nelle case di tutti i cavalieri del lavoro d’Italia. L’uomo sbucato dal buio di Valmadrera, nel Comasco, si proponeva ai colleghi (Agnelli, Pirelli, Berlusconi, De Benedetti)  con la sua storia trionfale pubblicata per festeggiare i 75 anni e arricchita da una prefazione in cui Piero Chiara omaggia “…il prototipo dell’emergente, dell’audace maneggiatore di uomini e denaro, dell’uomo che non si capacitava, guardandomi come un mostro, si potesse trovare spazio fuori dall’industria”. Mimma se n’è andata per il Covid a Montecarlo, dove s’era trasferita agiata, mai chiassosa, sempre convinta di quell’amore per un tipo autoritario, risoluto, che sfondava sempre. Rimasto vedovo, l’aveva scelta sicuro di sé, come quando fiutò il minerale dal quale si ricava il cemento in un paesino all’imbocco della Valcuvia, sormontato da un colle abitato da padri passionisti. E lei, che aveva insegnato italiano all’estero, scoprì accanto al “Rusca” il diversivo del dialetto lombardo.               

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