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La scelta di un sindaco

  • Gianni Spartà
  • 01/04/2021
  • 0

Vaccini e burocrazia

Intitolando a Giuseppe Zamberletti il centro vaccini di Schiranna a Varese, il sindaco Davide Galimberti ha fatto due volte la cosa giusta. La prima: ha reso omaggio a un concittadino illustre non per aver portato a casa, da parlamentare e ministro, chissà quale finanziamento di opere pubbliche, ma per aver esportato fuori dei confini natii la tipica capacità di fare del suo territorio. La seconda: ha dato un segnale a un Paese intero ricordando il personaggio che sulle emergenze nazionali misurò il proprio talento fatto di coraggio, competenza, passione. In un’Italia esasperata, impoverita e spaventata i simboli hanno valore. Non si possono fare paragoni tra un terremoto, il più devastante, e una pandemia. In Irpinia i morti furono tremila, in Friuli mille, oggi siamo oltre quota centomila e non è finita. Ma si possono trarre insegnamenti, in un’epoca molto più attrezzata, su come si affronta con successo, fatica e intelligenza la sfida di una catastrofe sanitaria e sociale qual è il Covid. Le parole chiave sono sempre due: poteri speciali. Zamberletti li ebbe pressappoco nel suo primo cimento da commissario straordinario a Udine, li pretese nel secondo a Napoli, li codificò a cose fatte a Roma nella legge che sancì la nascita della moderna Protezione Civile. Nel nome del padre di un fondamentale servizio dello Stato, siamo a buon punto: le immagini dei tg propongono ancora grisaglie ministeriali, ma poi si concentrano su un uomo in tuta mimetica e un altro in maglione blu notte. Un commissario straordinario con i gradi di generale di corpo d’armata che ha esordito dicendo: vado in giro per le città, se incontro una persona non ancora vaccinata, la prendo e la porta a farsi la puntura nel braccio. E un altro personaggio, anch’egli gettato nella mischia da Draghi, che lo segue passo passo fornendogli consulenza operativa da nuovo capo della ProCiv. Sembrerebbe di poter annunciare (ma il condizionale è d’obbligo) una tattica diversa. Dal gioco a centrocampo, frutto di indubitabili conoscenze di tecnica gestionale, guai a dimenticarle, alla strategia dell’attacco di petto al virus. Che non dev’essere un invincibile samurai se la scienza in un anno ne ha snidato le debolezze, ma è ancora un pericolo pubblico per battere il quale non c’è tempo da perdere. Inutile rimarcare che se n’è perso dalla scoperta del vaccino. Partner europei e non sono stati più veloci di noi. Certo, anche Zamberletti detto Zorro non avrebbe lasciato nessun segno nella storia di questo Paese se non avesse potuto contare su tendopoli, ospedali, centri di raccolta, professionalità; se non gli fosse stato concesso di requisire treni, navi, roulotte; se non avesse usato con precedenza assoluta la tv e la radio per informare le cittadinanze; se non avesse sperimentato, infine, la cosa più importante e cioè gli effetti benefici di governi di unità nazionale. C’erano altri partiti, drogati anche allora da personalismi identitari. C’erano ministri che non ci stavano a cedere signoria a una specie di dittatore dei terremoti. C’era il patrimonio prezioso dei volontari, un tempo disorganizzati, stonati, mentre i loro eredi suonano come corde di violino e hanno spartiti collaudati in migliaia di esercitazioni. E c’erano i lacciuoli della burocrazia che purtroppo sopravvivono con le loro sevizie. Voi credete che per somministrare un vaccino bastino una sedia, una siringa, un medico, un computer, un lettino sul quale adagiare il paziente dopo il “pic niente male”. Voi credete che tra il dire e il fare non s’intrometta un’overdose di scartoffie indigeste e ragionevolmente inutili per paura che un pm possa aprire un fascicolo e in ogni caso per obbedienza cieca alla sindrome da comma ter così modificato, eccetera eccetera. E allora siamo al dunque: la piaga antica storica di un Paese che ama le pandette e odia le buona pratiche. Capiamo perché sul fronte arroventato del Covid Gran Bretagna, Israele, Stati Uniti stanno bagnando il naso a un’Europa continentale aggrappata al senso comune, diverso dal buon senso, per citare il Manzoni. Questa differenza culturale non è figlia della pandemia, sia chiaro. Essa è un cancro che mina la spina dorsale della nostra Italia e ne colpisce tutti gli organi: amministrativi, politici, giudiziari, costituzionali. L’avere nel terzo millennio leggi che generano conflitti tra Stato e Regioni, il dover ricorrere ancora poteri speciali per sperare di superarli rappresentano la matassa che deve sbrogliare l’ennesimo premier scelto fuori dal Parlamento repubblicano. Non si può sospendere l’amata democrazia, la burocrazia sì nel supremo interesse di un popolo. A uno che ha i draghi nel cognome basta sprigionare una fiammata anestetica.

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