La giostra dei candidati
- Gianni Spartà
- 11/09/2021
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Varese e Busto, 13 sindaci
Improvvisati, riciclati, personaggi in cerca d’autore e “non so”, cioè soggetti non definibili: e dov’è la novità? C’erano anche quando il Paese aveva un’altra classe dirigente, selezionata nelle scuole dei partiti d’allora. L’uso della bugia per buttare giù l’avversario o impedirgli di emergere? Visto anche questo, da sempre. Solo che prima non c’era l’amplificatore dei social. Quello che sorprende sono le griglie di partenza, sia a Varese, sia (di meno) a Busto Arsizio, le città più importanti del nostro territorio. Sette aspiranti sindaci nel capoluogo, sei nel secondo centro provinciale: a Milano sono cinque. Cinquecento persone nelle diciotto liste in gara a Varese, duecentosettantasette sempre per diciotto a Busto: pari abitanti, posti disponibili trentadue e ventiquattro, rispettivamente, nei consigli comunali da riverniciare. La scena è da concorso pubblico all’Inps o nella scuola: si divertano psicologi e sociologi a indagare ii fenomeno. Irrefrenabile passione per la civitas, voglia di partecipazione, sete di visibilità, ripicca, rivincita oppure tutti in fila come fanti uno dietro l’altro avanti perché non ci sono esami d’ammissione come per l’università? Ci avviamo a passo lesto verso i giorni del voto, le domande si affollano forse solo tra gli osservatori: la gente pensa ad altro. Col Covid duro a morire, il succedersi delle varianti, le cervellotiche discussioni sul green pass, le vaccinazioni non completate, è opportuno non guardare solo il campo di gioco ma dare un’occhiata alle tribune. Non si nota entusiasmo tra gli spettatori, caso mai curiosità civettuola come ieri l’altro a Giardini per la passeggiata del BisConte tra i telefonini spianati di tante signore. Poi ci sono stati i mille all’Ippodromo per Daviode Galimberti l’amerikano e la sala gremita al Santuccio per la replica di Matteo Bianchi supportato, nel dire, dal governatore Attilio Fontana. Ma un confronto pubblico due giorni fa in piazza Monte Grappa tra i candidati alla poltrona prima di Palazzo Estense ci è sembrata, guardando la platea, una riunione di condominio. Interesse per i temi, zero. D’altra parte dove eravamo rimasti? Guardiamo le statistiche delle comunali 2016 quando Davide Galimberti soffocò nella loro culla quelli che governavano dal 1993. Al ballottaggio si presentò il 50, 23% degli aventi diritto, eppure la sfida finale era appassionante, coinvolgente, seguita dai media nazionali perché crollava il ponte verde-azzurro inventato da Bossi e Berlusconi. Al primo turno i partecipanti erano stati il 55,89 per cento quando la media dei disertori dalle nostre parti raramente superò la soglia del 30%. Eccola la vera questione: rispetto a cinque anni fa sfiducia, indifferenza, semplicemente noia sono diminuite o aumentate? Ci aspettano giorni caldi: sono in arrivo i big, Salvini in testa atteso il 18 settembre. Delle due l’una: scalderanno la piazza o la raffredderanno del tutto. Riassumiamo l’estate che sta finendo: i partiti a livello nazionale hanno trascorso il tempo a piantare bandierine identitarie, a spiegarci per quali fasce d’età è opportuno il vaccino, a raccontarci come si riforma la giustizia e come si affronta la diaspora dall’Afghanistan, arrogandosi competenze che non hanno. Poi regolarmente, si sono inginocchiati nel confessionale di padre Draghi che li ha assolti dai loro peccati d’incontinenza e l’agenda del governo non ha fatto una piega. Non vorremmo che, lontani da Roma, arrivando in una provincia di confine, lo sproloquio nazionale rovinasse il clima d’una campagna elettorale fin qui piccola, ma onesta.