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Il bagatt che donò un teatro

  • Gianni Spartà
  • 27/06/2019
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Dimenticate quella fotografia di cinque anni fa, vigilia di Natale. Ritraeva un sindaco, un rettore, un presidente della Provincia, un presidente della Regione, soddisfatti e sorridenti. Quattro mani destre stavano in posa una sopra l’altra, come fanno i giocatori di pallacanestro, solitamente nei momenti cruciali del match, per darsi coraggio a vicenda. Bene, cancellate tutto, perché quanto c’era in quel groviglio di pollici e indici, cioè un accordo istituzionale per costruire un teatro di cemento in piazza Repubblica dove adesso se ne erge eroico uno di pezza, è evaporato il primo giorno d’estate del 2019. La Prealpina domenica ha pubblicato un’altra fotografia, senza facce stavolta, che presenta in anteprima il solenne profilo di un teatro diverso. Che c’è già, c’è sempre stato, semplicemente non è mai stato preso in considerazione. E’ il vecchio cinema Politeama nel quale potrebbe materializzarsi il palcoscenico di un’altra arte, risparmiando una quindicina di teorici milioni, recuperando una memoria cara ai varesini, evitando l’azzardo finanziario di rivisitare il profilo attuale di piazza Repubblica. Che non ha pace: ogni lustro cambia destinazione. Si dice che in quei vasti spazi, oggi mal frequentati, potrebbero tornare le bancarelle del mercato. Com’era negli anni ’60. La caserma Garibaldi? Tranquilli: resterebbe lì, in attesa di nuovi personaggi che incrociano le mani. Per ora sui suoi inestetismi da palazzo bombardato il Comune ha steso un pietoso velo. Varese ha il record delle demolizioni sciagurate: giù il vecchio Teatro Sociale nel lontano 1953, giù la palazzina liberty del Mercato coperto in tempi recenti, giù un bel caseggiato ottocentesco in piazza XX Settembre e un altro in piazza Monte Grappa per far posto a un grande magazzino, prima la Standa, oggi Ovs. Giù tutto il bello, mai il brutto. La caserma ricorda ai bambini degli anni ’60 Ercolino sempre in piedi. Era un pupazzo gonfiabile zavorrato alla base: pubblicizzava la marca di un formaggino. La resurrezione del Politeama è un sogno del suo proprietario: la casa di riposo Molina. Il caseggiato, comprendente negozi al piano terra, finì tra i suoi beni per la più bella storia che a un cronista capita di raccontare. Un tale Armando Caravatti era morto in Argentina nei primi anni ’80. Aprirono il suo testamento, scoprirono che aveva destinato tutto il suo patrimonio ai vecchietti ospiti di quell’istituto mai dimenticato: sorgeva davanti a casa sua quando faceva la fame a Varese riparando scarpe. Il bagatt (calzolaio) emigrò, le scarpe si mise a produrle, diventando un sciur (signore). Il lascito al Molina, 46 miliardi d’allora, comprendeva l’amato cinematografo. La notizia emozionò la città che non s’era scaldata nemmeno all’arrivo di Garibaldi, ma che al fascino dei danèe (soldi) è sempre stata sensibile. Se non altro per curiosità. Intendiamoci: l’opzione Politeama non è cosa fatta, bensì fattibile. Sicuramente più ragionevole del progettone di piazza Repubblica che contemplava il trasferimento di biblioteche e archivi nella caserma, la vendita del collegio Sant’Ambrogio, il trasloco dell’ultimo pezzo di università dell’Insubria a Bizzozero: il rettorato. I conti evidentemente si fecero senza l’oste: sono tempi grami per i palazzinari che avrebbero dovuto comprare l’ex collegio delle suore e costruirvi residenze private. L’offerta del Molina a questo punto è un sasso gettato nell’arena politica. Controindicazioni? Una che Attilio Fontana, quand’era sindaco, spiegava così: un teatro ha bisogno di spazi per i camion delle compagnie, attorno al Politeama ce ne sono a sufficienza? Ma il recupero del vecchio cinema nel quale per un certo periodo faceva le prove la band di Maroni, il Distretto 51, entra a buon diritto nel fervore di idee nuove da coniugare con le vecchie. Si riparla, pensate un po’, di realizzare una suggestiva promenade coprendo i binari tra via Magenta e l’imbocco dell’autostrada. Trent’anni fa il primo squillo di tromba. Le Ferrovie, cui spetterebbe l’onere economico, non hanno mai fatto una piega. Lasciateci dire che se davvero con i soldi del bagatt diventato re si costruisse un teatro stabile, beh un redivo Rodari potrebbe scriverci una favola. La più sorprendente in una città che di scarpe ha vissuto cent’anni.

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