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La solitudine del numeri primi

  • Gianni Spartà
  • 06/10/2021
  • 0

Duello a Varese

Beati Enrico Michetti e Roberto Gualtieri, aspiranti re di Roma, che da qui al 17 ottobre potranno cercare gregari tra i resti di Virginia Raggi e Carlo Calenda per organizzare la fuga della vittoria. Nel giorno della Tre Valli bagnata il grande ciclismo insegna che, salvo casi rari, il capitano la spunta se qualcuno gli tira la volata. Ma paradossalmente nella terra di Alfredo Binda e di Luigi Ganna, per Davide Galimberti e Matteo Bianchi  sarà inutile guardarsi alle spalle negli ultimi tre chilometri: saranno soli e da soli dovranno pedalare  fino allo stremo. Dietro avranno il vuoto, o quasi, e arriverà primo sotto Palazzo Estense chi ne avrà di più. Li aspetta insomma un duello epocale, seppur in una piccola patria italiana al confine con la Svizzera, perché la morale è questa: il sindaco uscente resta in sella e allora si chiude definitivamente la leggenda di Varese città leghista (sempre al traino dei voti di Forza Italia: non dimentichiamolo)  oppure il rivale azzecca il rapportone in vista del traguardo e le lancette della storia tornano indietro di un lustro.  Con buona pace degli altri cinque che si erano candidati in salsa civica e  hanno racimolato prefissi telefonici. E con un applauso ad Antonelli che proprio con una lista personale ce l’ha fatta alla grande a Busto Arsizio. Vedi com’è volubile  la politica. Oppure vedi altro: non è che uno si sveglia una mattina e dice: quasi quasi stampo quattro manifesti e mi candido a sindaco. Va bene tutto... Com’è andata? Non bene. Un cittadino su due è rimasto a più del 2016. Vincono la noia, la rabbia, la sfiducia, il distacco verso che ci vuole rappresentare. E il fenomeno si è acuito perché nella tempesta di una emergenza sanitaria, con 131mila morti, migliaia di ricoveri, l’economia ferma, la politica avrebbe avuto il compito nobile di rinunciare alla rissa, alla bottega elettorale, all’ipocrisia, all’odio. Non l’ha fatto e la gente l’ha mandata a quel paese. Quante delusioni: riaprire, chiudere, vaccini sì, vaccini no, calcoli di partito sul green pass, infedeltà al governo cui si appartiene. Questa la vergogna, non  solo la “Bestia”. La  crisi di sistema non esplode solo perché a Palazzo Chigi c’è un tipo impermeabile allo schizzo di fango. Quando gliene arriva qualcuno sul doppiopetto,  lo rimuove senza fare una piega. Tutti felici se durasse, ma durerà?  Fatto grave è che la diserzione investa i comuni, istituzioni che il popolo dovrebbe sentire amiche, quasi congiunte. Davide Galimberti s’è fermato al 48% per cento senza aiuti esterni: sua scelta, sembra, non fare comizi con papaveri nazionali al suo fianco. Aveva invitato Beppe Sala che forse verrà a Varese nei prossimi giorni con l’autorevolezza di chi ha riconquistato al primo colpo la città e il cruccio di Salvini.  Il quale, fiutando la mala parata a Milano, Bologna, Napoli e vedendo sgretolarsi il Carroccio nazionale, due volte in dieci giorni è piombato nella Betlemme leghista per due motivi: fingere il “tutto va bene madama la marchesa” con Giancarlo Giorgetti e risarcire Matteo Bianchi tirato per la giacca di deputato nazionale e costretto a ricalarsi in una gara cittadina. Il suo 45% merita rispetto, il Pd è il primo partito di Varese, Cinque stelle oscurate, centristi in evidenza. E ballottaggio sia, secondo tradizione delle ultime due tornate elettorali, ma con un quadro politico in movimento a Varese più che altrove. I due contendenti hanno grosse responsabilità che esulano dai confini locali: Galimberti, con un Pd in grande spolvero e traino della sua performance, non può permettersi di perdere e ha già detto che non se lo permetterà. Bianchi ha sulle spalle il destino di Salvini. Sarebbe nemesi storica  se il canto del cigno del capo andasse in scena nella città di Bossi.

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