Chi comanda a Varese
- Gianni Spartà
- 27/12/2021
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Finanza, Clero, Massoneria, chi?
Nello scambio degli auguri di Natale con persone informate dei fatti, alcune vecchie conoscenze, è saltata fuori la domanda galeotta: chi comanda a Varese, intesa non come città, ma come capoluogo di un territorio ricco, vasto e paesaggisticamente seducente? Chi possiede autorità (gradita anche autorevolezza) non di facciata, ma sostanziale? Lasciamo in pace la politica alle prese fino a febbraio con i guai suoi: se Draghi, definendosi nonno al servizio delle istituzioni, ha inteso passaggio al Colle, facile che da lì non si limiterà a rappresentare l’Italia, continuerà a governarla con un suo luogotenente. Presidenzialismo di fatto. Negli anni ’60 Indro Montanelli scattando una delle sue fotografie fulminanti scrisse che a Varese convivono due anime, quella del Sacro Monte, simbolo della Fede, e quella del Forno crematorio, emblema della Massoneria. Mezzo secolo dopo le tracce dei due poteri appaiono sbiadite entrambe e dunque la domanda iniziale si presta a chiacchiericcio teorico perché in pratica, lo diciamo subito, la risposta potrebbe essere la seguente: qui non c’è più nessuno che abbia forza e voglia di smuovere cose. Non potendole spostare, preferisce accettare che restino dove sono. L’impressione è che l’attitudine al comando non sia all’ordine del giorno al netto di comparsate e interviste ecumeniche. Si vive un periodo di transizione tra la scomparsa di leader storici, tali per natura, non per nomina, e il faticoso affermarsi di capi di nuovo conio svantaggiati - è onesto concederlo - da momenti non floridi come un tempo. Il trasferimento di uffici decisionali, il tramonto di antiche glorie hanno fatto diventare Varese distaccamento di immutato interesse economico, rispetto alla centralità di altre epoche. Non da oggi il governo di quanto fa rima con la gestione di risorse umane e produttive del territorio varesino risiede a Milano. Il sistema bancario ha eletto temporaneo domicilio in Emilia Romagna, dopo lungo soggiorno a Bergamo. Tralasciamo quanto è al sicuro in Svizzera. I poteri dell’industria stanno a Roma, se pensiamo a Leonardo, padrona di importanti aziende aeronautiche, in America, in Francia, in Cina, negli Emirati se consideriamo l’acquisto di fondamentali realtà da parte di compagnie multinazionali. E intendiamoci, l’arrivo dello straniero e del pubblico in molti casi ha garantito continuità di occupazione. Il ragionamento vale anche per arti, mestieri, professioni liberali? Sì anche per quelle che scalano la hit-parade della notorietà e della rilevanza sociale se trovano palcoscenici di rango nelle pubbliche istituzioni (giustizia, sanità, scuola). Ecco: il corto circuito è proprio qui. Guai a confondere la visibilità nazionale (ne abbiamo avuta tanta) con l’incisività territoriale. Raramente s’è potuto misurare da qui la supremazia della varesinità. Ad esempio non si è potuto misurarla nella Grande Malpensa, che oltre tutto non ha smesso di essere considerata aeroporto di Milano. Abbia almeno un riscatto ferroviario non appena ci saremo liberati dell’incubo pandemia che sembra paralizzare tutto: decolli il collegamento via Gallarate con Varese, ora “aperta” alla Svizzera, cioè al Nord Europa, e arrivino i treni Freccia Rossa nell’aerostazione intercontinentale, tema caro a Prealpina. Se non avete di meglio in questi, arrovellatevi sul quesito a proposito di chi comanda a Varese. E buon anno.