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Fango accademico

  • Gianni Spartà
  • 31/01/2022
  • 0

Uninsubria

Capire dall’esterno le dinamiche delle università non è cosa impossibile, è inutile. Non c’è una chiave di lettura per chi non ci sta dentro. Ed è tempo perso indulgere a lagne su baronie, nepotismo, carriere pilotate. Così è, punto. Ma quel che succede all’Insubria tra il magnifico rettore e il suo non meno ammirevole vice è un colpo all’immagine di un ateneo giovane e dinamico. E lo sarà fino a quando non sarà chiarito perché una querela per diffamazione, sicuramente poco rispettosa della grammatica accademica, sta dando luogo a visite della guardia di finanza. Qui, in questo momento, meritevole di difesa da fuori, è la storia del più importante progetto territoriale degli ultimi cinquant’anni, insieme con la grande Malpensa. Quello culminato il 14 luglio del 1998, giorno della presa della Bastiglia, cioè di una rivoluzione, nella nascita dell’università sull’asse Varese-Como, luoghi fieri di fortune realizzate in molti casi facendo a meno dei libri. Che guaio se, ridimensionati i primati industriali, trasferiti altrove i centri decisionali di economia e finanza, le due province lombarde confinanti con la Svizzera, non avessero avuto di che sopperirvi investendo nel bene supremo dell’istruzione. E che felice coincidenza la contemporaneità di altre analoghe iniziative: oggi nel raggio di una cinquantina di chilometri fanno compagnia all’Insubria, la Liuc a Castellanza, l’Accademia di architettura a Mendrisio, l’università della Svizzera italiana a Lugano. Una bella massa critica di formazione all’ombra delle antiche cattedrali di Milano, Statale, Cattolica, Politecnico, Bocconi. Senonché sulla testa di chi c’era nei lunghi e travagliati venticinque anni in cui di atenei era difficile parlare alla politica e alla società civile - eppure migliaia di studenti già frequentavano a Varese e a Como corsi di Medicina, Biologia, Economia, Ingegneria gemmati da altri atenei - senonché, dicevamo, su queste teste imbiancate cade la tegola di una guerra rettoriale, ci auguriamo misera nella sostanza, comunque assordante nella forma. Il Parlamento ci ha appena regalato lo scempio del decoro istituzionale, l’accademia locale ce lo risparmi per favore, lasciando perdere i tribunali e regolando i conti nelle sedi corporative, addirittura un senato, quello che sfila in toghe d’ermellino agli eventi ufficiali. Lo esigono dodicimila studenti, settecento docenti, trecento addetti amministrativi, tredici corsi di laurea magistrale, otto dottorati di ricerca, una decina di master. Andiamo, è già difficile la situazione nel Paese. Per chi non c’era quando l’università era indesiderata a Varese non prevista a Como, ecco un aneddoto simbolo, se non dell’ostilità dell’indifferenza al progetto di coltivare in queste contrade il germoglio universitario. Anni ’80 del secolo scorso: era coordinatore del corsi pareggiati di Medicina e Chirurgia all’ospedale di Circolo di Varese, il professor Gianmario Frigo, eccellente farmacologo, persona mite, primo collaudatore del progetto sbocciato nell’ateneo di Pavia. Riposi in pace. Un giorno egli fece una telefonata all’ente Provincia per discutere un problema serio: reperire nuove aule, possibilmente altro, insomma calamitare attenzione per la nascente università.  La risposta fu agghiacciante: “Quale università, professore?”. Ora non è  il caso, dopo tanto tempo, di fare il nome dell’interlocutore, pomposamente responsabile della Cultura a Villa Recalcati. Ma l’episodio la dice lunga sul clima, anche se a onore del vero poi fu proprio la Provincia presieduta da Attilio Spozio e da Massimo Ferrario a farsi carico di importanti oneri finanziari per far vivere la creatura altrimenti  condannata a soffocare nella culla. Ricordiamolo: il varo del cimento universitario a Varese fu un autentico colpo di mano di visionari rappresentanti dei poteri allora forti: un presidente dell’ospedale, Giovanni Valcavi, avvocato e banchiere, un sindaco, Mario Ossola, apprezzato tisiologo, il presidente della Provincia, Fausto Franchi, imprenditore a Saronno.  Ma c’è ancora l’eco di accese discussioni tra favorevoli e contrari. Un consigliere comunale, medico, s’alzò in piedi una sera a Palazzo Estense e disse che l’ateneo nasceva “focomelico”. L’estate del 1998, ci fu la felice conclusione. Che non merita, lo capite, insopportabili schizzi di fango.  

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