L’abuso di facciata
- Gianni Spartà
- 21/02/2022
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Superbonus boomerang
“Facciamo girare l’economia, certo, ma il bonus-facciate è una porcata”. Voce dal sen sfuggita, poi richiamar non vale. Ma se il seno è quello di una parte in causa, interessata a procurare vantaggi ai tanti condomini che amministra, e naturalmente a se stessa, allora dubitare è lecito. I fatti: un palazzo su tre nelle nostre città è avvolto da ponteggi, il lavoro ferve, purtroppo qualcuno è volato giù. La politica degli incentivi accomuna tutti gli Stati moderni azzerati da due anni di pandemia. Il concetto è: io governo ti regalo qualcosa per migliorare non tanto l’estetica, quanto le condizioni energetiche della tua casa. Tu, se sei responsabile, cogli l’attimo, ma solo se ti serve. Se non ti serve, non consumare soldi pubblici, anche perché il conto poi arriva e lo paghi nel modello 730 e seguenti. Ci frulla in testa una canzone di Gaber: … tutte cose giuste per un’altra generazione. Nell’attuale, l’abuso dell’uso del bonus è impressone insita nei racconti di chi la sa lunga in fatto di edilizia. La legge è macchinosa e quando gli articoli sono più di dieci e ciascuno sfuma in una ventina di commi è facile, nello slalom, saltare qualche porta. Per sapere se una squadra arrampicata lungo un muro sta facendo un vero “cappotto”, cioè un rivestimento che alza la temperatura di un interno, contate quanti balconi e quante finestre si aprono nella facciata. Più ce ne sono più diminuisce la possibilità che il cappotto ripari da spifferi e intemperie. A meno che non si foderino anche infissi e terrazze. Il vantaggio energetico? Va a farsi benedire: nessun controllore è in grado di valutare il rapporto costi-benefici. E i costi, sostenuti dallo Stato, dovrebbero arrecare vantaggio allo collettività, non solo al fruitore. Sorvoliamo sulle infiltrazioni di pattuglie di finanziarie tra imprese e cittadini: salvo frodi accertate, guai a criminalizzare categorie. Ma lo “sconto in fattura” è manna dal cielo per quanti comprano e vendono soldi. Nessuno lavora gratis. Figuriamoci i banchieri. Di cui Draghi è stato un autorevole esponente e proprio per questo, se non gli fanno girare le scatole, tenterà di stringere i freni alla bonus-baldoria. Che come sapete si estende dalla casa alla bicicletta, dall’animale domestico alla vacanza, dal frigorifero allo psicologo. Perbacco: ciascuno ha diritto di recuperare il mancato guadagno per saracinesche abbassate e studi vuoti. Poi c’è la riflessione sull’andazzo di consumare senza produrre, di dare senza ricevere e il pensiero corre a quando il coronavirus non aveva ancora fermato il mondo e andava in onda il reddito di cittadinanza subito silenziato per eccesso di “portoghesi”. Se la Bonus Economy sia figlia di quello scivolone non sapremmo dire. Probabilmente no: stiamo uscendo da una pestilenza. Ma abbiamo anche vissuto in un’Italia che sulla scia del boom economico investiva sui propri giovani curando di non lasciare indietro gli sfavoriti. Il bonus di allora si chiamava presalario, era un assegno annuale concesso dallo Stato alle famiglie per invogliarle a mantenere figli all’università. Per ottenerlo bisognava essere in regola con gli esami. Improponibile oggi usare un termine operaistico per un sussidio. Ma sulle differenze di stile politico un pensiero si può fare.