Bentornate Frecce
- Gianni Spartà
- 09/07/2022
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Festa dell’aria
Siamo in guerra da quattro mesi, l’Europa ci è ricaduta, a nulla sono serviti settant’anni di non belligeranza dichiarata. Dal cielo cadono bombe e gli aerei sono associati all’idea di morte e distruzione. Difficile dunque parlare di festa dell’aria pensando alla Frecce Tricolori che spunteranno dalla cima di un monte domenica e dipingeranno di rosso, bianco e verde il cielo sopra Arona ed Angera. Ma bisogna avere la forza di superarlo questo blocco psicologico per godersi uno spettacolo, gioioso, pacifico e di impareggiata bravura che oltre tutto si lega perfettamente alla piccola patria nella quale abitiamo. La pattuglia acrobatica nazionale ha volato centinaia di volte sulla propria storia. Quando passa sulla fabbrica dell’Aermacchi di Venegono sbanda in segno di omaggio alla nursery del suo aereo, l’MB 339. E quando vede all’orizzonte il campanile di Tradate sa che deve virare in formazione per un saluto commosso a Ermanno Bazzocchi, “l’ultimo papà di un aeroplano compoleto”, ha scritto il New York Times raccontando l’ingegnere ( 1914-2005) che quel velivolo disegnò a mano libera, un tempo andava così, costruendolo pezzo per pezzo col contributo di una fantastica aristocrazia di operai e collaudatori. Ma questa volta si celebrerà qualcosa di più tra le due sponde del Verbano: l’MB 339 è al servizio delle Frecce Tricolori, vale a dire dell’orgoglio aeronautico italiano, da quarant’anni esatti. Ventisette aprile 1982, aeroporto di Rivolto: esce di scena il vecchio G91, sale alla ribalta un furetto supersonico d’acciaio in livrea blu notte, maneggevole, addestratore e caccia. Da quel moment il “339” non solo entra nel circo acrobatico ma attira l’interesse di forze aeree straniere e di pretenziosi sceicchi. Ora questo territorio ha perso tante cose e tanta governance nell’ultimo mezzo secolo, non la bellezza dei paesaggi fortunatamente. Ha resistito l’arte di vivere d’aria, di costruire aeroplani ed elicotteri, di tramandare un primato industriale mai messo in discussione. Certo: hanno cambiato nome gloriose aziende del territorio (Macchi, Agusta, Siai Marchetti) piegandosi alla logica della galassia unica che oggi si chiama Leonardo. Ma da qui esse non si sono mai schiodate forse per l’autorevolezza storica del romanzo di cui sono parte. Si chiama Roma-Chicago la prima trasvolata atlantica con Italo Balbo al comando di uno stormo di venticinque aquile d’acciaio. La verità è che quegli idrovolanti scesero in acqua per raggiungere la capitale dal molo Sant’Anna di Sesto Calende dove sorgeva la fabbrica che li aveva messi a punto per l’evento mondiale. Si tende a sottovalutare un fatto legato alla saga degli elicotteri: furono gli Agusta, siciliani trapiantati a Malpensa, a procurarsi una licenza americana nel dopoguerra iniziando a costruire qui macchine allora stupefacenti. L’avventura continua tra Cascina Costa, Vergiate, Cameri, Sesto Calende dove c’è un attrezzata accademia: i piloti militari e civili si addestrano su velivoli che non volano, sono infatti simulatori digitali capaci di riprodurre al millesimo la realtà. La questione appassiona gli studiosi: perché l’avventura dell’aviazione moderna si è sviluppata tra alture moreniche e laghi dove più logiche sarebbero state altri sbocchi? Evidentemente la zona di Gallarate con i suoi enormi spazi ha spianato la pista ai pionieri. Quanti nomi: Carlo Del Prete, Francesco De Pinedo, Arturo Ferrarin, Umberto Maddalena, Mario Calderara, Carlo Felice Buzio, Filippo Zappata, Guido Carestiato, Mario Castoldi, Ermanno Bazzocchi, Domenico Agusta, Paolo Foresio. E ancora Alessandro Marchetti, Mario Stoppani, Mario De Bernardi. Tutti piloti, collaudatori, ingegneri, imprenditori, molti inventori, qualcuno eroe. Bisognerebbe dedicare loro un famedio, lo abbiamo già proposto anni fa. Subito entusiasmo, poi il nulla. Rilanciamo.