Blog



La Varese lib-lab di Scalfari

  • Gianni Spartà
  • 16/07/2022
  • 0

In morte del Maestro

Quando girava l’Italia per presentare il suo nuovo giornale, Eugenio Scalfari scelse non a caso di fare tappa a Varese tra le province medie. Ne aveva fiutato l’anima lib-lab, anche grazie agli articoli dei suoi inviati di punta, Giorgio Bocca, Camilla Cederna; la sapeva terra di fiere battaglie garibaldine; non l’aveva mai appassionato il marchio di città fascista amando distinguere tra il  vero e il comodo. Era una sera del 1976, salone di Palazzo Estense stracolmo. Si poteva notare nel pubblico la differenza tra l’entusiasmo radical-chic e un po’ snob di una certa Varese e la severa curiosità intellettuale dei colti  autentici, non necessariamente titolati. Per i quali Repubblica doveva cambiare qualcosa in Italia,  raccontare l’altra faccia del capitalismo, approfondire il dibattito che in quegli anni si svolgeva nella sinistra, segnatamente nel Pci. Questo nelle intenzioni del direttore ed editore che comunista non era mai stato, ma nutriva l’ambizione luciferina di cambiare quanti lo erano.  A Varese Eugenio Scalfari era venuto nella veste inedita di testimone giudiziario al processo per il libro sul presidente della Repubblica Giovanni Leone, scritto dalla Cederna e stampato in una tipografia della città. Rischiò di tornarci da imputato per un libro suo, Razza Padrona. Poi l’accusa di diffamazione sfumò. Bei tempi quando, nelle sede inedita di un tribunale, scaturivano dibattiti di storia e politica, cagionati da libri di grandi editori che qui approdavano per stamparli. Quei tempi erano già cambiati quando ebbi in sorte di presentare pubblicamente “Barba-Papà” in una serata del Premio Chiara edizione 2008, a Villa Recalcati. Eugenio Scalfari  teneva una lectio magistralis sull’arte della scrittura ma parlava anche di uno suo libro sorprendente “L’uomo che non credeva in Dio”, inno autobiografico alla ragione affascinata dal dubbio della fede. Ricordo una camicia sudata e l’imbarazzo di chi siede  accanto a un monumento e gli deve fare domande davanti a tanta gente. Mi scappò di definire Repubblica un tabloid. E qui il Maestro sfoderò quella signoria che fu dei migliori artisti e dei grandi condottieri. “Repubblica non è un tabloid, formato tipico dei giornali sensazionalisti, ma ha un formato berliner. Il giovane collega mi scuserà”. Avevo 55 anni. Il garbo invece non ha età

Aggiungi Commento

Nome
Email
Testo Commento (evidenzia per modificare)

(0) Commenti