Il fantasma di Bossi
- Gianni Spartà
- 28/09/2022
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Salvini all’inferno
Il missile sovranista di Matteo Salvini ha affondato anche il fondatore. Ed è come se Umberto Bossi lo avvertisse quando dal fumo del suo sigaro uscì una nuvoletta con dentro queste parole, la primavera del 2016: “La Lega è mal ridotta. Non diventa un’altra cosa se raccatta i voti di quattro fascistoni al Sud. Questa roba può pensarla solo un coglione che ha in mente di fare il premier”. Figuriamoci che cosa può dire oggi il Senatur fuori dal Parlamento dopo 35 anni. Mandato a casa lui, benefattore di pochi capaci e di tanti falliti assurti a ruoli improbabili: ministri, sottosegretari, direttori generali di questo e quello. Umiliato lui, vessillifero del celodurismo lombardo, mentre si celebra il trionfo di una tipa bionda, femmina e per giunta romana de Roma. E perché? Perché sul cassero del Carroccio c’è un condottiero presuntuoso che le fantomatiche trecentomila baionette bergamasche dei tempi secessionisti oggi farebbero a pezzi. Forse il fatto più grave è che la Lega sia precipitata all’otto per cento, doppiata da Fratelli d’Italia in tante città del Nord. Ma la bocciatura del Patriarca candidato alla Camera, nella sua Varese, fa rumore come se fosse crollata la Torre di Pisa. Quattrocento giornalisti sono venuti dal Giappone, dalla Corea, dall’Argentina per raccontare al mondo la virata più a destra dell’Italia repubblicana. E se nei loro articoli serpeggia l’accostamento malevolo ( e improprio) al centesimo anniversario della marcia su Roma, beh il Generale perso in battaglia per un’avanzata maldestra del Capitano, all’estero fa notizia eccome. Anche perché un’altra volta che truppe di scribi e telecronisti internazionali sciamarono in Italia con tanto fragore fu trent’anni fa. Dovevano occuparsi di un parvenu con zazzera sugli occhiali da miope intenzionato a spacchettare l’Italia in tre parti: Padania al Nord, Etruria al Centro, Terronia al Sud. Accadeva ai Giardini Estensi di Varese pullulanti di camper e di antenne paraboliche per la diretta. Al centro della scena, davanti alla fontana del Duca, troneggiava un razzo di cartone pronto a mandare in orbita l’astronauta Umberto da Cassano Magnago, classe 1941, studente fuori corso di Medicina, poeta e chitarrista, miscuglio di genialità e faccia tosta, di ingenuità e furbizia, inventore di uno spavaldo movimento nel quale lo sport preferito era darsi furiosamente ragione a vicenda. Tredici dicembre del 1992, Santa Lucia protettrice della vista: moriva la DC, moriva il Pci, moriva il Psi e nel cielo di Lombardia, raramente così terso, cominciava il conto alla rovescia per il decollo della Lega. Voto nazionale? No. Elezione del primo borgomastro del Novecento, quando ancora la nomina del sindaco non era affare di popolo, ma combine dei partiti. Il suo nome Raimondo Fassa, inconsapevole protagonista di una rivoluzione che nessuno avrebbe mai fatto: “Oggi no, domani forse, ma dopodomani…”, monologherebbe Giorgio Gaber. In ogni caso un nuova forza animata folcloristicamente dall’odio per Roma ladrona e realisticamente da qualche progetto accettabile. La gente ha conosciuto buoni sindaci, attenti amministratori regionali, efficaci gestori di cose pubbliche. Ma questa volta, 25 settembre del 2022, il razzo inventato da Bossi si è sfracellato dopo il decollo. Di più: ha disegnato un cerchio poco magico tra le nuvole di una fredda fine di settembre e come un boomerang s’è conficcato nelle spalle del leader Salvini, sconfitto recidivo, segretario che in un partito vero si sarebbe già dimesso. E invece resta perché la Lega è l’unico movimento marxista-leninista che ha avuto successo nell’Occidente occupato. Lo diceva per scherzo Roberto Maroni che ieri, sul serio, ha scritto sul Foglio: Salvini se ne deve andare. Vabbè: Bossi per ragioni di salute era estraneo da tempo al dibattito parlamentare e poi non è l’unico trombato eccellente. Gli fanno compagnia Tremonti e Cottarelli. La proposta di nominarlo senatore a vita in questo momento è una toppa peggiore del buco. I mal di pancia leghisti però ci sono, soprattutto tra coloro che ci hanno messo la faccia e l’hanno persa e quanti rivestono importanti incarichi (i governatori) e hanno in mente di tenerseli. Chi al posto di Matteo Gianburrasca? Non pensate al migrante Giancarlo Giorgetti, eletto in Valtellina. Lui proprio non ce la fa a immaginarsi titolare di responsabilità di partito. E poi a Roma continua a contare su un futuro da allineato e coperto. Per la cronaca qui s’è salvato salvano solo Stefano Candiani. Post scriptum: notizie di Draghi?