Se i soldi non contano
- Gianni Spartà
- 14/10/2022
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L’imperfetto del verbo unire
Il tema è ciclico: Varese e la sua identità, Varese e le sue vocazioni nuove, Varese e il bene supremo: la qualità di vita. Che cosa dobbiamo aspettarci da qui agli anni ’50 è ’60 che nel secolo scorso diedero vita al miracolo economico, con le virtù celebrate allora, i ripensamenti elaborati oggi? La discussione resta monca se per Varese intendiamo l’equazione piazza Monte Grappa uguale ombelico del mondo. Vale qualcosa se riguarda un vasto territorio che comincia al limitare dell’area metropolitana milanese, tra Legnano e Busto, e finisce a Zenna, dove un valico segna l’ingresso nel Canton Ticino. E merita considerazione se si capisce, per scendere nel particolare, che la decisione di una potente categoria produttiva di individuare a Castellanza il polo della cultura d’impresa, accanto alle aule di un ateneo, non è lesa maestà, non è torto alla storia, ma scelta di aggregazione funzionale. E allora giù anche la vecchia denominazione sociale, Univa, su il nuovo brand: Confindustria Varese. In fondo Univa era l’imperfetto del verbo unire: l’osservazione è del mio amico Gigi, industriale e maestro di metafora. Sappiamo tutti che la logica ottusa dei campanili ha provocato danni storici non solo da noi. Ha propagato nanismo he le statistiche impietosamente documentano . La Gallia divisa “in partes tres” fu una trovata militare di Giulio Cesare, niente a che vedere con le guerre perse a causa dell’incapacità di ricavare un esercito forte mettendo insieme le guarnigioni di Varese, Busto, Gallarate. Ai quali aggiungeremmo la non trascurabile Saronno, periferia economica e abitativa della grande Milano. Ora, le statistiche lasciano il tempo che trovano, ma a volte feriscono. E quando a latitudini che presentano un Bingo da 27 miliardi di euro depositati nei conti correnti corrisponde un quarantottesimo posto (su 50) nella graduatoria dell’immobilismo privato e pubblico, beh qualche domanda non è superflua. Scoprire di combinare poco, nonostante la ricchezza pingue non è piacevole. E scoprirlo passando in rassegna le principali potenzialità deprime. Abbiamo in casa quarti nobili dell’industria aerospaziale e i suoi fatturati non sono manciate di lenticchie; in mezzo a questa terra sorge un aeroporto intercontinentale sopravvissuto ai capricci della ex compagnia di bandiera; da sempre un centro di ricerca europeo orientato su tematiche ambientali ha i piedi ben piantati in riva al Verbano; vantiamo non una ma due università con migliaia di studenti e lo sport, infine, vive una seconda giovinezza. Oltre a bucare il video quando c’è una Tre Valli o un campionato mondiale di canottaggio regala pubblicità a incommensurabili bellezze naturali e incassi all’industria immobiliare e alberghiera. Dobbiamo parlare dell’arrivano i nostri nei palazzi della politica? Ministri, sottosegretari, governatori, direttori generali targati Varese, Busto e Gallarate hanno confuso le idee agli italiani. Ma lassù non c’erano industriali, ingegneri, inventori, soldi, lavoro e conti in Svizzera? Tranquilli, c’è ancora tutto tranne la Svizzera che non è più lo strano oggetto del desiderio finanziario. Il gruzzolo di “famiglie, imprese e altri” (fonte Camera di Commercio) si mantiene intatto. Il Covid non ha scalfito queste certezze, la guerra in Europa sì: c’è paura di vivere, più grave della scarsa voglia di intraprendere. C’è l’incubo energetico che non può sfociare nell’indifferenza per le crisi umanitarie scatenate da una guerra feroce anche con donne e bambini. Dobbiamo mettere in conto sacrifici e nuove povertà e a quel punto abitare in un territorio sazio ma disperato improvvisamente non conta più nulla.