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Fantasia al potere

  • Gianni Spartà
  • 29/11/2022
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In morte di Roberto Maroni

In morte di Roberto Maroni, ci piace ricordare il colpo di fantasia istituzionale che gli permise di liberare mezza provincia da un calvario automobilismo irrisolvibile col pensiero ottuso  della burocrazia. Correva l’anno 1994. Il raccordo autostradale nel tratto Varese-Gazzada era chiuso da tempo immemorabile in virtù di un progetto realizzato solo a metà. Ne è prova quel moncone di cemento armato che si può osservare dal basso, in località Loreto, dove si biforcano le direzioni: per Gazzada o per Azzate.  Da lì doveva  iniziare la grande incompiuta: una bretella di collegamento con la zona del lago. Amen. Dunque, i lavori dell’Anas erano sospesi per intralci e ritardi, i tentativi locali di rimuoverli fallivano. Code e inquinamento a gogò. Per imboccare l’Autolaghi diretti a Gallarate, Busto, Castellanza, Legnano, Milano occorreva inoltrarsi su strade ordinarie e questo determinava ingorghi pazzeschi, crisi di nervi, perdite di tempo. Maroni era ministro dell’Interno, non delle Infrastrutture. Nessuno qui a Varese gli avrebbe  potuto contestare alcunché perché il suo mestiere era un altro. Ma trovò il mondo di fare quello che le istituzioni possono, se vogliono, con la l’immaginazione al potere, espressione gridata sulle barricate del Sessantotto, ma coniata da Herbert Marcuse. Ora non pensiamo che Bobo fosse andato a rileggersi Marcuse. Più banalmente parlò con i suoi consulenti giuridici al Viminale e si prese la responsabilità di trattare il caso del raccordo chiuso come una questione di ordine pubblico, non di manutenzione stradale. Pertanto: via subito i divieti d’accesso alla bretella di collegamento alla A8 (assolutamente percorribile: mancavano quattro parapetti), ordine perentorio all’Anas di installarli e ai suoi burosauri di darsi una mossa. Senonché quell’ordine, per competenza territoriale, lo doveva dare il prefetto di Varese, a quei tempi Sergio Porena, uomo di scrupolosa ortodossia istituzionale, già oberato rispetto ai  colleghi di altre provincie dal non piccolo problema di avere in casa niente meno che il ministro dell’Interno. Le scorte, la sicurezza del capo supremo e dei familiari, i servizi da organizzare quando rientrava da Roma toglievano il sonno a lui e al suo vice Giorgio Zanzi. Fosse accaduto qualcosa, al Viminale se la sarebbero presa col povero Porena. Che adesso, quasi sotto dettatura, doveva firmare un provvedimento con pochi precedenti. L’atto avvenne in presenza dei giornalisti. Questa la scena: il prefetto a capotavola, al suo fianco Maroni sorridente come quando smanettava sulla tastiera dell’Hammond col Distretto 51. Qualche giorno più tardi i varesini furono liberati e nessuno osò eccepire forzature dei protocolli. Gli automobilisti si riprendevano il raccordo, Maroni il suo ruolo di ministro che durante il  secondo incarico, quello del 2008 dopo la parentesi di titolare del Welfare, avrebbe inflitto pesanti sconfitte alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Ci sembra questa una memoria doverosa per “uno di noi” come lo ha chiamato il vescovo Vegezzi, per un blues-man di rito ambrosiano, per il miglior prodotto della Lega di governo. Vai a capire il silenzio di Umberto Bossi e dei suoi comunicatori in occasione della scomparsa dell’antico aiutante di battaglia. Capire la politica non è difficile, è inutile. Giudicare i sentimenti d’umanità è facile.

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