In morte di Pfv
- Gianni Spartà
- 27/02/2023
- 0
L’addio al maestro
“Di che cosa ha più paura?”, chiesero a Pier Fausto Vedani, classe 1932, figlio di imprenditori comaschi, ramo tessile, strappato al fascino della seta di famiglia dall’odore acre del piombo nelle tipografie. “Ho paura della sofferenza e della solitudine”, fu la risposta. “Pfv” sapeva benissimo che senza “la Boni”- cognome della moglie Maria Concetta - la sua vita si sarebbe ingolfata di pena fino a fermarsi. “La Boni” è morta quattro mesi fa, lui l’ha seguita dopo aver dato agli amici l’illusione di farcela. Era a Casina, seconda patria sulle colline di Reggio Emilia, paese natio di Maria Concetta. Alle tre del pomeriggio ha sentito una fitta al petto e ha reclinato il capo. Arresto cardiaco per i medici. Per gl’intimi l’ effetto collaterale di quel colpo di forbice il primo novembre 2002: non recise un matrimonio, ma il tubo dell’ossigeno. La coppia non aveva figli naturali, ne ha avuto tanti adottivi: coloro che dagli anni ’70 in poi, per scelta o per caso, approdavano pivelli alle redazioni della Prealpina, tra Varese e Busto, e lì cominciavano a scrivere, senza sentirsi Montanelli. Di questa ciurma da trasformare in squadra Vedani è stato il mister, l’amico, il fratello anche lo sponsor per quelli che hanno proseguito la carriera in altri giornali, alla Rai e tra le credenziali avevano l’esperienza maturata in Prealpina, piccola scuola con due presidi: il direttore Mario Lodi e il condirettore Nino Miglierina. Che Vedani fosse il maestro al quale rubare il mestiere ci rendemmo conto una notte di gennaio del 1975, credo. Mancavano pochi minuti all’una quando arrivò dal corrispondente la notizia di una strage: papà, mamma, i due figlioletti morti bruciati in un’auto. Nessuna delle giovani marmotte presenti, Maniglio Botti e chi scrive queste note, sarebbe stata in grado di dettare direttamente al linotipista un pezzo lungo una colonna, sulla base di due appunti rabberciati. Non c’era tempo di scrivere a quell’ora, bisognava immaginare la scena e raccontarla “a braccio”. Il giorno dopo leggemmo un articolo magistrale siglato “pfv”. Ma queste sono memorie interne e oggi, di fronte a un vasto cordoglio pubblico, bisogna parlare di quello che Pierfausto Vedani è stato per le comunità di questa provincia. Sicuramente il garante di un modo corretto di fare un mestiere difficile, sia per chi li scrive i giornali, sia per chi li edita. Il giornalismo obiettivo non esiste. La gente chiede che un giornalista faccia una scelta limpida, che non difenda cause sporche, che non inganni i lettore. Ecco, salutando “pfv” riconosciamo che questi valori li ha praticati e ce li ha insegnati. Il tipo era strano, simpatico, ipocondriaco, spesso, d’inverno, con una fascia sulla fronte, indisciplinato, direbbe sua moglie che era maestra. Lo sorprendevi a girare nei corridoi della redazione in bicicletta o a piantarti una pedata sulla scrivania mentre soffrivi sulla cronaca di un processo. Gli piacevano gli scherzi da prete e d’altra parte faceva coppia con Gaspare Morgione, raffinato umorista. Ma poi leggendo i suoi scritti lo scoprivi uomo di profonda serietà intellettuale e di largo sapere umanistico. Amava la storia, aveva letto i classici senza mai laurearsi per pigrizia. Da che parte stesse in politica non l’abbiamo mai capito. Abile nella mediazione e nella relazione, lo chiamavano “il cardinale”. Forse era solo un democristiano, ma lui lo negava dicendo di votare per i repubblicani. Sicuramente Prealpina non ebbe mai problemi a essere riconosciuta come giornale aperto al contributo di tutti. Anche negli anni dell’eversione. Nel cuore di molti- lo sappiamo- c’è il Vedani responsabile delle pagine sportive quando calcio e basket qui a Varese erano ammortizzatori sociali, dispensatori di gioie, portatori sani di vittorie. Siamo negli anni d’oro della Ignis e del Varese calcio, Morse e Anastasi. Pierfausto è più bravo a scrivere di basket (Massimo Lodi dice che avrebbe potuto fare l’allenatore). Ma anche dalla finestra dello sport egli tiene d’occhio la politica, l’economia, le istituzioni. Dalla Prealpina Vedani esce da direttore responsabile nel 1986. Fino a quando la salute gliel’ha permesso telefonava di tanto in tanto: “Ciao pirata”, esordiva. Lui si definiva “cavaliere del lavoro altrui” sapendo prendere la vita con leggerezza. Anche per questo addio Maestro.