Insubria gemellare
- Gianni Spartà
- 20/05/2023
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1998-.2023
L’università dell’Insubria compie 25 anni (1998-2023). La data di nascita precisa è il 14 luglio, giorno della Presa della Bastiglia, a segnalare, per chi crede alla non causalità delle coincidenze, un evento rivoluzionario verificatori in due quiete città di provincia: Varese e Como. Ci si prepara a celebrare le nozze d’argento con pensieri positivi, ovviamente. Ma questi venticinque anni, visti in dimensione storica, sono la metà esatta di un romanzo cominciato nel 1973 quando all’improvviso, in virtù di un blitz più civico che accademico, esordirono in uno scantinato dell’ospedale di Circolo corsi pareggiati della facoltà di Medicina di Pavia. “Gemmazione” si dice in gergo. Un modo di iniziare l’avventura architettata nei salotti borghesi, la rottura col passato, rivoluzione di velluto. Un sindaco democristiano, l’ex partigiano Mario Ossola, un avvocato-banchiere socialista, Giovanni Valcavi, un presidente di Provincia imprenditore saronnese, Fausto Franchi, convennero nell’intento di spargere semenza universitaria in un territorio fiero d’aver accumulato fortune per altre strade. E il rettore Antonio Fornari, il preside di facoltà Mario Cherubino li assecondarono vedendo nella delocalizzazione lo strumento idoneo a decongestionare vecchi atenei affollati. Esperimento, si disse. Mezzo secolo dopo si ha la conferma che in Italia nulla si rivela più definitivo del provvisorio. Anche se nessuno volle rovesciare l’antico regime, ma scuoterlo caso mai in vista di tempi che sarebbero cambiati. Dunque per raccontare la storia dell’Insubria bisogna cominciare dai visi pallidi di una ventina di studenti del secondo triennio seduti su banchi di fortuna al cospetto del professor Delfino Barbieri, un primario sdoganato docente. Era un giorno di gennaio, il Sant’Antonio di pietra davanti alla chiesa della Motta aveva la barba bianca per la neve caduta in nottata. Quel pugno di cavie avrebbe completato gli studi vicino a casa affrontando gli esami a Pavia, tesi di laurea compresa. Di lì a poco, sempre col metodo dell’innesto, sarebbero germogliati altri corsi, di Biologia, di Economia, fino alla faticosa, in certi momenti drammatica svolta del 1998 quando il ministro Giovanni Berlinguer capisce che l’unico modo per fa nascere un nuovo ateneo autonomo nel Nordovest lombardo è un parto gemellare tra Varese e Como. Chi visse le fasi del travaglio non dimentica i piccati distinguo degli oppositori locali, gli irritanti ritardi della nomenclatura romana, il coraggioso prodigarsi dell’amministrazione provinciale di qui rimasta sola, a un certo punto, a sostenere i costi della gestione universitaria: strutture, stipendi, spese varie. Ma il terzo rettore dell’Insubria, Angelo Tagliabue dopo Renzo Dionigi e Alberto Coen Porisini, ha buon gioco oggi a sentirsi orgoglioso di esercitare signoria su 12.700 studenti, 420 professori, 23 corsi di laurea triennale, tre magistrale, otto dottorati di ricerca. “Qui meglio di Milano”, ha detto giorni fa alla Prealpina. Miraggi ed errori. Sbaglia, ad esempio, chi considera questa terra arida di studi. In verità numerosi cattedratici si rifugiarono sotto le Prealpi tra ‘800 e ‘900, per approfondire la clinica, la filologia, la storia. Quante strade di Varese intitolate a personalità che hanno cambiato qualcosa nella conoscenza delle malattie: due nomi, Luigi Sacco e Scipione Riva Rocci. Era bresciano, ma studiava a Varese, in via Bizzozero, Camillo Golgi, premio Nobel per la Medicina nel 1906 quando per la letteratura il solenne riconoscimento toccò a Giosuè Carducci. Venticinque anni ufficiali meritano un bilancio: come saremmo oggi senza un’ istituzione culturale che ha colmato i vuoti lasciati da attività cadute in disgrazia, trasferite sotto altri comandi, addirittura estinte? Chi poteva immaginare, ieri, che puntando un compasso in questa terra di confini si sarebbero contati quattro giovani atenei: Insubria, Liuc, Piemonte Orientale, Usi di Lugano che comprende l’Accademia di architettura a Mendrisio. Tante rose, qualche spina, la certezza di una vocazione collaudata scaturita da un’intuizione fulminante. Auguri!