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Pesi & Misure

  • Gianni Spartà
  • 24/11/2023
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Varese, Busto e Gallarate

Se Varese dilatasse i suoi confini fino a comprendere i piccoli comuni che scivolano verso i lago (Casciago, Luvinate, Barasso, Comerio, Gavirate) o quelli di valli circostanti (almeno due: Induno Olona e Malnate), avrebbe una massa critica di 120-150mila abitanti. Non di meno di 80mila: pochi per un capoluogo nell’era globale. Se Gallarate, Busto, anche Legnano, mediante fusione o incorporazione, fossero una cosa sola attorno alla grande Malpensa, nascerebbe una solida area metropolitana sul modello di Monza e Brianza. Fantascienza: se Varese, Como, Lecco e Lugano accettassero, non a parole,  il comune denominatore di regione insubrica avremmo una realtà transfrontaliera di primo livello capace di competere con Milano e Zurigo. Le quali stanno rosicchiando ai centri intermedi risorse umane e economiche lasciandosi alle spalle zone grigie dai destini incerti.  Passando in rassegna questi e altri tentativi (teorici) di modificare più che la geografia, la geopolitica  del Varesotto e dell’Altomilanese,  si materializza un teorema ineludibile: per cambiare qualcosa bisogna smettere di fare sempre le stesse cose. Ciò che pare l’abitudine del contado dove le rivoluzioni fallirono anche ai tempi di Bossi. E’ così ovunque? Giorni fa sostavo sotto la troneggiante porta di alluminio che in un angolo della famigerata  piazza della Loggia simboleggia il matrimonio d’interesse tra Brescia e Bergamo, centoventi chilometri da Varese. Come sapete, per la prima volta il titolo di capitale della cultura non è stato assegnato a una single, come Matera o Procida,  ma a una coppia di grandi lombarde. Nessuno da quelle parti si sognerebbe di rinunciare alla propria identità, sia chiaro: ve la immaginate allo stadio una fratellanza tra tifosi della Leonessa e dell’Atalanta? Neanche morti. Ma per uno scopo vantaggioso a entrambe, due città vicine e omogenee, una erede dell’impero romano, l’altra della tradizione longobarda, hanno accettato di farsi sorelle d’Italia. E allora la provocazione di Marco Reguzzoni avente per soggetti Gallarate e Busto che si danno la mano come sul ponte di Bassano qualche considerazione la sollecita. D’accordo è una provocazione, ma viene da un tipo che ha fiuto e intuito. Tant’è che ne è nato un dibattito ospitato da Prealpina. Ora, il Reguzzoni inventore di Volandia sa che due città medie da sole non vanno lontano. Ma nel suo stuzzicare il mostro sacro del campanilismo si può cogliere un significato non banale. Il territorio, al pari del pensiero, ha bisogno di periodica manutenzione se non altro per tenere lontane le tarme. E questa manutenzione accarezzata in tanti convegni usa e getta  prima  poi si deve fare, pena l’accumulo di ritardi e il rischio di pericolose decadenze. Piero Chiara scriveva di non sapere sinceramente che cosa mancasse al Varesotto, “a cavallo delle sue colline”, per sentirsi pienamente realizzato nella bellezza e nel benessere. Ma lo faceva in un’altra epoca prima che cambiasse anche il cambiamento. La scienza ci insegna la differenza tra il peso e il peso specifico. Il primo è oggettivo, visibile, il secondo un rapporto matematico tra a una forza e un volume. Lasciamo agli addetti il resto della spiegazione. Qui interessa osservare che misurato in ricchezza ( conti bancari) il profilo di questo territorio resta immutato. La tonicità sfuma in stanchezza se si valutano le residue energie. Esse sono finite in una centrifuga che le ha snaturate. Dominando la vernice squillante del global, il colore del local corre il rischio di assumere le sfumature della ruggine. Consoliamoci: il fenomeno è generale ma se dal grandangolo passiamo allo zoom la nostra immagine si sfoca, si sgrana. Nuovi leader faticano ad affermarsi, complici certe cialtronerie della politica romana che si divide anche nell’incasso dei dividendi elettorali. Qui manca un grande patto territoriale, una missione che vada bene a ciascuno e a tutti su un vasto campo. Così enormi potenzialità restano inespresse. O si esprimono in un francobollo che invece potrebbe avere il peso specifico della collezione. E torna questo concetto della densità non misurata in chili, ma in densità. Cose risapute in vari settori: finanza, industria, cultura, istruzione, vita sociale. Ma se qualcuno s’incarica di metterle su una moviola i frammenti e di osservarli al rallentatore vuoi vedere che spunta un regista capace di farci un film di successo? E l’augurio per l’anno nuovo ormai alle porte.

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