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La VA di Fassa

  • Gianni Spartà
  • 14/01/2024
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Primo borgomastro italiano

Nato a Busto Arsizio, residente e Gallarate, primo cittadino di Varese: chi è? Se la domanda fosse rivolta all’intelligenza artificiale la risposta, nota anche all’intelletto naturale, sarebbe esatta: Raimondo Fassa. E se sfidando l’algoritmo, gli si chiedesse di elaborare un’analisi, un testo, un articolo giornalistico, quello profilerebbe il ritratto dell’individuo ideale per immaginare, almeno all’anagrafe, il superamento delle barriere di campanile ostacolo alla soluzione definitiva dei problemi di questo territorio. Che non è uno, ma trino. Le tre città non si parlano.  Insieme bagnerebbero il naso ai migliori distretti italiani. Divise, restano ciascuna orgogliosa dei propri confini e la macchina territoriale perde potenza, s’ingolfa. Così è se vi pare. Chi ha vagheggiato un’area compatta, solida attorno ai suoi impianti di livello internazionale ha sempre perso.  Mi va il giochetto di fantasia per arrivare al dunque: qualche nota sul primo borgomastro d’Italia, “quello che  nessuno sapeva chi fosse” quando gli capitò in sorte, forse a sua insaputa, di inaugurare l’era leghista a Varese, ramo comunale. La caduta degli dei - Che botta il giorno di Santa   Lucia, 13 dicembre 1992: caduta degli dei democristiani e socialisti, trionfo del Carroccio nelle urne. In verità poterono più le manette di Mani Pulite che la falce senza martello di Umberto Bossi. Ma piaccia o no in quell’ inverno che non era inverno, il capoluogo dei sette laghi si consegnò ai cospiratori della secessione mai nata, con un fatto curioso: a rappresentarla in carne e ossa spuntò un tipo segaligno, laureatissimo, la testa affollata di conoscenze umanistiche, l’eloquio infarcito di latinorum, insegnante di italiano ai corsi serali di una scuola di Gallarate. Insomma, la controfigura del celodurismo militante, l’antitesi del popolo infervorato che ogni anno venerava ampolle d’acqua riempite alle sorgenti del Po, la controfigura del balenottero torinese Mario Borghezio e del tricheco della Valsugana Erminio Boso. Raimondo Fassa era stato intercettato mesi prima Roberto Maroni in un incontro casuale e a Bobo era piaciuto l’esegeta delle idee rivoluzionarie di Gianfranco Miglio, maestro di un pensiero che Bossi interpretava a modo suo. Appuntato il suo nome su un taccuino, il futuro “ragazzo del Viminale” lo spifferò all’amico comunista Daniele Marantelli. Il quale ebbe il privilegio, da sopravvissuto della Prima Repubblica, di partecipare alla selezione leghista per scegliere il futuro sindaco di Varese. I due a quei tempi si muovevano come il Gatto e la Volpe nel sacro vincolo della reciproca fiducia. Pranzavano al ristorante Bologna, confabulavano. Vero che dopo lo straripante successo del 13 dicembre la Lega avrebbe potuto spedire a Palazzo Estense anche Pappalardo, la macchietta che circolava per la città con un mangiadischi a tutto volume. Ma ignorare l’opposizione, seppur a brandelli, non sarebbe stato utile. Dopo un piatto di pennette non all’arrabbiata, Maroni e Marantelli s’alzarono da tavola e annunciarono il varo di una giunta verde-rossa capitanata da Fassa. Senza incenso - Sappiamo che l’avventura del primo borgomastro d’Italia durò cinque anni soltanto, metà dei quali vissuti in una sorta di mezzo servizio perché don Raimondo si era tolto lo sfizio di essere eletto europarlamentare. Ma come andò la missione del Professore a Varese lo spiega un titolo della Prealpina dell’8 novembre 1995, che tra l’altro la dice lunga sul peccato originale della città: “Sindaci d’Italia, Fassa straccia Formentini: è sesto su cinquantaquattro in un sondaggio della Tgr Lombardia. Sarebbe rieletto nonostante la viabilità caotica”. Il segreto del successo lo spiegò l’interessato: “Un funzionario diceva a Mussolini: duce si guardi dal veleno più pericoloso, l’incenso. A me i giornalisti di Varese d’incenso ne hanno riservato poco. Ma le critiche, le sollecitazioni, quelle intelligenti, della stampa locale mi sono servite”. Sorvolò Fassa sull’asso nella manica: a Palazzo Estense aveva trovato nel suo vice Piergianni Biancheri, repubblicano, e nel segretario generale Antonio Conte due consiglieri formidabili. In compenso il maestro della citazione perpetua si appropriò di un verso di Dante: “E io fui sesto tra cotanto senno”. Uelà!  In Tv con Enzo Biagi - Capite che un simile soggetto non poteva accettare il secondo mandato e la sicura riconferma nel 1997: borgomastro sì, sindaco in camicia verde no. In quel tempo l’apologia legista era al massimo dei decibel. Le cose erano cambiate rispetto agli esordi con la “strage di Santa Lucia”. Era ormai alla frutta il matrimonio fra un trasandato affabulatore da osteria, Umberto Bossi, e un vanitoso chef da grand hotel, Raimondo Fassa. Due “s” in comune nel cognome non fanno una somiglianza. E se il connubio resistette un lustro, fu per l’entusiasmo col quale una coppia acclamata si mette insieme sperando che i contrasti, col tempo, vincano sulle divisioni. Accadeva che il Professore oscurasse il Capo. Eccolo su Rai 1 col suo forbito argomentare accanto a Enzo Biagi in una trasmissione che si chiamava Il Fatto. Ancora lui fotografato a Cernobbio tra i potenti della Terra ospiti del gran cerimoniere Alfredo Ambrosetti. Sempre lui corteggiato da Berlusconi e da Casini nel 1995 quando una rovesciata del Senatur nella propria area di rigore inflisse l’autogol al primo governo del Cavaliere. Aveva impiegato tre secondi Bossi a liquidare l’ideologo Miglio definendolo “scoreggia nello spazio”, come si poteva pensare che lo specchio delle mie brame sopportasse di inquadrare un altro bello nel reame, per giunta a Varese? Metamorfosi - Il tempo tiranno non diede modo al Senatur di licenziare il socio ingombrante, com’era accaduto con Castellazzi, Gnutti, la Pivetti. Fu Fassa a licenziarsi da lui, lasciando in braghe la Lega rinnegata quando decise all’ultimo minuto di non candidarsi per la seconda volta a sindaco nella città che aveva conquistato con i suoi modi da primo della classe. Marco Reguzzoni, allora segretario provinciale della Lega, era disperato: toccava a lui trovare un sostituto, gli altri “cazzeggiavano” a Roma, chi ministro, chi parlamentare, e Bossi chiamava ogni ora. “A che punto siamo?”. Dal cilindro uscì un altro personaggio sconosciuto ai più: Aldo Fumagalli. Chi è oggi Raimondo Fassa? Dov’è? Che cosa fa? Che cosa pensa? Beh di tanto manda articoli alla Prealpina, come sanno i lettori, sollecitando sospetti e curiosità: vuoi vedere che il Professore medita un ritorno? Li manda da Tunisi, dove è Lettore di Italiano al Campus Manouba dopo aver avuto incarichi extra-accademici all’Istituto Italiano di Cultura. Sui social appare sorridente in camiciole dai colori sgargianti, eredi degli abiti scuri che avvolgevano e sui modi da college britannico. L’ultima metamorfosi. 

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