La maledizione di gennaio
- Gianni Spartà
- 01/02/2024
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Delitti e astri
Se a Palermo la mafia uccide solo d’estate, nel profondo Nord, al confine con la Svizzera, il male di vivere esplode d’inverno, segnatamente a gennaio, come se una maledizione astrale condannasse i mesi più freddi a prestare i loro giorni alle esercitazioni di odio. I carabinieri sono alle prese con il misterioso omicidio di Cairate, un ragazzo morto per una coltellata sferratagli alla giugulare da una persona conosciuta alla quale aveva aperto la porta di casa. Due anni fa, stesso periodo, essi erano davanti a una villetta di Morazzone dove un uomo aveva ammazzato il figlioletto di sette anni e ferito gravemente la ex moglie. Giudicando da fuori, capita tutto all’improvviso: il palcoscenico dell’insospettabile si sfonda e precipita nella tragedia povere vittime che solo in certi casi poi si scoprono predestinate. Come a Golasecca dove nel 2004, sempre a gennaio considerando le date dei delitti, si spalancò sulla ribalta internazionale l’horror delle Bestie di Satana. Venne la Bbc in questa quieta provincia, solo in apparenza, a documentare il furore indiavolato di una setta che impastava sangue e terriccio per nascondere in un bosco il cadavere di un’amica. Altri, finiti nei vortici di Belzebù, erano stati indotti al suicidio come si accertò in un’inchiesta condotta dalla Procura di Busto Arsizio. Odio barbaro, narcisismo maligno, musiche metal, ma anche la provocazione del perdono senza aggettivi: un padre straordinario non abbandonò in carcere l’assassina di sua figlia, la fece studiare durante la carcerazione, le consentì di diventare giornalista. C’è un fondo di mistero che ci si illude di perlustrare con la scienza psichiatrica. Ma non c’entra quasi mai la follia conclamata, non c’entra il crimine organizzato con le sue leggi crudeli e non c’entra nemmeno il pregiudizio verso l’extracomunitario, molte volte colpevole, divenuto in anni disperati il Cireneo sulle cui spalle è stata caricata la croce individuale per scaricare la coscienza collettiva.
C’entrano invece ragionevoli mostri, come li chiama la criminologia, capaci di trasformare la quotidianità in esplosioni di gesti estremi. Tutto bene all’esterno, tutto marcio dentro, nel fondo di anime dannate nelle quali, sospettabile solo dopo, cova una miscela di veleni che a un certo punto scoppia. Alle nostre latitudini nessuno dimentica la strage dei fornai a Cadrezzate (Epifania del 1998) ed è rimasta sempre senza sutura la ferita delle ventinove coltellate inferte il sei gennaio, ma del 1987, a Lidia Macchi. Com’è inoto la giustizia è arrivata a trent’anni dal delitto, è arrivata male: un vecchio compagno di studi della ragazza si è fatto tre anni e mezzo di carcere preventivo e l’ergastolo in primo grado è diventato assoluzione piena nel secondo. Ogni omicidio fa storia a sé, a volte in maniera grottesca. La soppressione di propri familiari, di amici, di conoscenti occasionali è una metastasi che corrode progressivamente organismi sani, normali. Eccola la parola chiave: la normalità che finisce nei taccuini dei cronisti quando chiedono in giro che cosa si sapeva del sospettato. Il Varesotto ha dato pane a studiosi che tentano di interpretare la crudeltà delle mani mozzate (omicidio di Cocquio Trevisago, 2009) e per farlo scomodano rituali tipici di altre culture; che cercano di leggere nella mente di un ragazzino cui non è bastato finire con una sprangata il compagno di giochi Dean, lo ha pure seppellito nell’orto di casa a Varese (2011) quando forse non era ancora morto. Rassegnazione? Mai. Ma nemmeno inutile retorica sulle cause sociali che, se esistono. si rivelano regolarmente sproporzionate rispetto alla gravità del dramma.Ci sono stati in questi territorio delitti di mafia: fu ucciso qui il figlio di Cutolo e qui svanì il sogno dell’Isola felice allorché un pentito consegnò agli investigatori la mappa delle cosche calabresi infiltrate al Nord. Ma ammazzare non stanca anche fuori dai clan. Complice l’anestesia dei sentimenti umani che nelle guerre di questo tempo ha la massima espressione.