La memoria dell’elefante
- Gianni Spartà
- 23/02/2024
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Salvini bollito
L’elefante ha atteggiamenti pacifici e una straordinaria memoria. Lo costringono a esibirsi su un’asse di equilibrio e lui si piega. Gli fanno suonare il tamburo con la proboscide e lui ritma i colpi. Gli rubano il cibo e al massimo barrisce. Poi all’improvviso, magari dopo anni, si ricorda di quello che gli hanno fatto fare e con una zampata si vendica. La parabola si addice all’italiano medio che per lustri ha votato Lega. Pare vicinissima, infatti, la ritorsione del pachiderma. Perché continuare a seguire Salvini, che gioca a inseguire Giorgia Meloni, se nell’essere di destra, l’originale è meglio della copia? Che cosa potrà fare ancora la Lega nei prossimi anni? E soprattutto: a chi farla guidare, con quale rotta, in caso di naufragio? Si pongono queste domande i pionieri del Carroccio facendo eco all’inquietudine di Umberto Bossi. Il quale se ne sta nascosto a Gemonio, pensando alla sua salute e ai suoi anni (83), ma con i fedelissimi parla, non da oggi, di qualcosa di simile alla zampata dell’elefante. I suoi ragionamenti non si dissolvono nell’aria, come il fumo dell’eterno sigaro. Al contrario rimbalzano dalla Lombardia alle Venezie dentro lo spazio della macroregione mai costruita. Già è dura far passare l’autonomia differenziata. In arrivo una rifondazione leghista? Facile da auspicare, difficile da attuare. I miracoli li faceva Silvio Berlusconi, padre di tutti i compromessi della Seconda Repubblica. A lui riuscì di addomesticare Bossi, di smacchiare Fini, di tenersi buoni i liberali, di inventarsi un centrodestra multi uso come fosse la marca di un detersivo. Oggi in campo ci sono Meloni, Giorgetti e Tajani, tutti e tre consapevoli, con diverse sensibilità, che qualcosa succederà dopo le elezioni europee, soprattutto se l’elefante dovesse far pagare a Salvini i suoi contorsionismi: il filo-putinismo anche in morte di Navalny, l’allergia ai parametri europei, lo spariglio continuo a danno della coalizione di cui fa parte. E nella quale potrebbe subire il sorpasso di Forza Italia senza arrestare la corsa dei Fratelli guidati da quella Sorella che lo ossessiona. Dietro l’angolo s’intravede un centrodestra inedito con una Lega riposizionata per mano di un altro leader. Ma come? Un ritorno alle origini pare impossibile, un ravvedimento probabile. Salvini cambia opinione in un batter d’ali. Ma quando ne hai fatte troppe c’è il caso che ti presentino il conto. E questo avverrà. Al tempo della Dc e del Psi, si faceva presto: convocato un congresso nazionale, ciascun candidato illustrava le ragioni della propria corrente e si votava. Ma quelli erano partiti, per il vocabolario “associazioni di persone che esprimono idee su come gestire la cosa pubblica”. Non sempre ci riuscivano. Oggi impera l’egolatria, cioè sul culto di sé, nel simbolo del club, infatti, c’è il nome di chi vuole comandare a prescindere. La chiamiamo ancora democrazia perché nessuno pare disposto a rinunciarvi, scottato da quanto accade in Russia e in Medio Oriente. Democraticamente, con gli artifizi e i raggiri di una propaganda “bestiale”, si costruisce e poi si tiene su il personaggio. Il quale ha i connotati di uno zar, di un plenipotenziario, insomma di uno senza limiti e confini con una maschera per ogni occasione. La Lega di don Matteo ha cambiato pelle tante volte, verrebbe voglia di definirla una sostituzione etnica. Con Bossi era padana, antifascista, fondamentalmente laica e cattolica. Con Salvini ha imboccato la strada ultranazionalista e sovranista. Il vecchio Carroccio viaggiava a trazione nordista e doveva proteggere gli interessi dei produttori sull’asse dell’A4, l’autostrada Milano-Venezia. Adesso il suo segretario, da ministro, stravede per il Ponte sullo Stretto di Messina e anche nella storia dei trattori, con cui aveva la Lega ha sempre avuto familiarità, si è accontentato del secondo piano. Il voto europeo, le aggregazioni che ne sortiranno al parlamento di Strasburgo, avranno sicure conseguenze sul fronte nazionale. Assisteremo al duello finale Lega-Fratelli d’Italia in uno scenario politico surreale: riflettori solo sulla metà campo del centrodestra, perché dall’altra parte non c’è nessuno. Il Pd ha scelto l’eutanasia, tra Renzi e Calenda è rissa continua, Conte aspetta sulla riva del fiume. E Salvini spera nell’amnesia dell’elefante.