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Ponte, pescestocco e malanova

  • Gianni Spartà
  • 17/03/2024
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Stretto di Messina

Ero a Messina, dove sono nato,  il giorno della visita del Rosso Fratoainni e del Verde Bonelli, scesi laggiù a bollare di “spreco di denaro” la costruzione del Ponte sullo Stretto.  A essere sincero non mi sono chiesto se avessero ragione o torto. Da Capo Peloro guardavo il mare livido come la faccia di un pugile suonato; osservavo le onde che esplodevano al largo innescate da vortici e raffiche micidiali; seguivo i triangoli improbabili disegnati dalle navi traghetto per non andare a sbattere. E le domande, con tutto il rispetto, erano altre. Basterà la prodigiosa tecnologia a domare l’ira funesta di Scilla e di Cariddi? Si darà pace la maga Circe, rea d’aver creato i due mostri marini perchè rendessero perigliose agli umani le acque tra Reggio e Messina? Insomma quel Ponte, quando mai  sarà costruito, lo si potrà attraversare ammirati e fischettanti o dondolerà come un’amaca nei tre chilometri d’asfalto e binari sospesi tra il cielo e il mare? Mi sembra di udire l’eco: tutte sciocchezze! Ma certo che i progettisti sanno di lavorare nella galleria del vento più grande del Mediterraneo. La scienza si adatterà alla natura, il resto è mito. E tuttavia in quei giorni sui media siciliani e calabresi campeggiava il terrore seminato da uno scirocco più maligno del solito (raffiche a cento chilometri l’ora) e come sempre capita in queste circostanze si riaccendeva la disputa attorno all’opera pubbllica più promessa in tre  secoli. Ricordo un proverbio dei miei nonni: Messina, vento, pescestocco e malanova. Dove malanova significa maledizione. Ora lo storico dossier è finito nella mani di Salvini che spavalkdo assicura lavoro a mille ingegneri, tralasciando i duemila avvocati pronti a impugnare gli espropri. Riuscirà Matteo vita spericolata dove fallì, tra tanti altri, La Marmora nel 1866? Fine delle suggestioni storiche e politiche. Su come stanno le cose  tentiamo una sintesi. Progetto esecutivo del manufatto: c’è o non  c’è? C’è ma aggiornato al 2011 quando il governo Monti lo congelò. E’ passato troppo tempo, va adeguato: questo chiede l’Europa prima di allentare i cordoni della borsa. Finanziamenti già stanziati: due miliardi e settecento milioni dal gabinetto Meloni per iniziare i lavori. Entro l’estate? Boutade elettorale: lo dicono tutti. Nè a Reggio nè a Messina si è vista finora una transenna. Campata unica stradale e ferroviaria: opportuno insistere  quando, solo con traffico automobilistico, giapponesi e turchi hanno costruito ponti lunghi al massimo due chilometri e non in zona sismica? Indennizzi: pende un ricorso del consorzio Eurolink contro lo Stato italiano per l’opera commissinata e interrotta. L’ad della rediviva società Ponte sullo Stretto dice risarcire i costruttori mancati è un bagno di sangue. Bisogna evitarlo. Quindi il Ponte va fatto. Ora in un Paese normale dovrebbe essere chiarito da tempo un fatto: il Ponte non è un affare siciliano, calabrese, italiano, non è una questioine di destra e sinistra. Il Ponte è un’opera di rilevanza intercontinentale. Il Ponte traccia una rotta nella storia. Nell’ottica dei grandi traffici, specialmente quelli navali in uscita da Suez, la Sicilia rappresenta la piattaforma logistica ideale per le merci in arrivo da Africa, Asia e dirette nel Nord Europa. Dovrebbe funzionare così: container giù dalle navi ( milioni di pezzi) e caricati just in time sui treni dell’alta velocità per arrivare nei porti di Helsinki e Rotterdam.Via le colonne di Tir dalle nostre autostrade. Senza la sosta-traghetto, tempo e denaro risparmiati da tutti. In Italia un Ponte unico per lunghezza e impatto scenico avrebbe esaltanti prospettive turistiche. Il Mezzogiorno non ha bisogno di rendite ma di redditi. Ciò occupazione in cambio di lavoro. Per fare tutto questo occorre coesione in Italia e in Europa. Buona fortuna e buon vento.

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