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I periti di Silvio

  • Gianni Spartà
  • 29/04/2024
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Modello Mazzucchelli

Si può immaginare che giorni fa un lampo di luce celeste abbia illuminato la cappella di famiglia in cui riposa Silvio Mazzucchelli nel camposanto monumentale di Giubiano, che è la Spoon River dei capitalisti del passato. In quello stesso momento, infatti, si celebravano i 75 anni dell’Istituto tecnico statale Newton e il ministro Giancarlo Giorgetti faceva pressappoco questo discorso rivolto agli imprenditori: non sottovalutate la formazione del personale nelle vostre aziende. I poteri pubblici, senza l’aiuto dei privati, possono fare meno della metà di quanto è necessario. A questo impegno un uomo d’azione come Silvio Mazzucchelli - vissuto tra le due guerre, scomparso nel 1968 - ha dedicato energie non comuni. Dapprima per combattere l’analfabetismo imperante, inventandosi una scuola primaria interna nella sua fabbrica di Castiglione Olona; poi per finanziarie, proprio all’Itis, l’istruzione di periti plastici quando le materie gettonate erano prevalentemente la meccanica e l’elettronica. Per anni Varese ha avuto l’esclusiva nazionale di questa specializzazione. Che Mazzucchelli badasse ai propri affari sostenendo quel tipo di diploma, è ovvio: i polimeri rappresentavano il pane quotidiano del suo business. Ma il tornaconto di un industriale di idee liberali, illuminato e colto, coincideva con le aspettative del Paese pronto a imboccare la strada dello sviluppo economi con la chimica e la plastica.  All’orizzonte c’era il miracolo italiano, spuntavano gli anni del Moplen. L’occasione dei 75 anni del Newton è dunque propizia per due scopi. Plaudire a un preside che ha dato visibilità nazionale, non a un liceo, ma un istituto tecnico. Rimarcare che al tempo della incontenibile benemerita ubriacatura digitale, sopravvive l’interesse a premiare la benemerita aristocrazia operaia. Ci sono, ci saranno sempre le fabbriche solenni come cattedrali, necessarie come il pane. La Lombardia ne è l’icona: guardatela dall’alto, punteggiata di capannoni.  All’epoca di Silvio, terzo erede della dinastia dei Mazzucchelli, dopo Santino e Pompeo, legato a una storia industriale giunta al traguardo dei 175 anni, tra alti e bassi e alleanze azionarie di notevole prestigio, le materie plastiche erano sconosciute nel panorama della didattica professionale. Nemmeno erano nel mirino delle battaglie ecologiche. Servivano? Si producevano. Punto. Diceva Silvio: è una bugia che l’operaio italiano sia il migliore del mondo. E’il peggiore, ma solo perché non è formato. Se lo fosse come lo svizzero e il tedesco non avrebbe rivali. Aspettarsi qualcosa dallo Stato? Tempo perso. Meglio portarsi avanti in proprio con strategie che potevano odorare di paternalismo, ma erano efficaci. E Mazzucchelli nel 1942 inondò di tavoli da disegno, di banchi, di officine un angolo dei suoi stabilimenti a Castiglione Olona, il paese di plastica, controfigura dell’angolo di Toscana tenuto a battesimo dai soldi del cardinale Branda e dall’arte di Masolino da Panicale. Nonostante la guerra, il lavoro c’era. Non c’erano lavoratori idonei. La storia si ripete. In quel tempo lo spettro del proletariato cominciava ad aggirarsi nella pianura padana. Lo si doveva addomesticare. “Si parla sempre di braccia, è ora che si occupiamo dei cervelli”: è un’altra frase celebre di Mazzucchelli , grande amico di Piero Chiara, anfitrione di esclusivi incontri culturali ospitati nella sua villa faraonica sul sommo del Colle San Pedrino. Al preside della scuola interna Italo Roncoroni egli diede incarico di organizzare il matrimonio tra l’istituto di stato e l’industria di Silvio. Nasceva un binomio di successo coltivato da Giulio Cesare Soncini pescato tra i dirigenti dell’Alfa Romeo, trasferitosi come docente nell’istituto di Varese. In trent’anni l’Itis intitolato orgogliosamente a Isaac Newton licenziò duemila periti plastici che essendo ricercati non avevano difficoltà a sistemarsi. Conclusione per i nostri giorni insidiati, ma anche stimolati, dall’intelligenza artificiale. Era un mondo a parte, irripetibile forse, quello di Mazzucchelli. Ma sarebbe un mondo al contrario quello che dimenticasse come l’Italia di oggi, nonostante le mirabili rivoluzioni tecnologiche, viaggi ancora a rimorchio delle grandi intuizioni dell’Italia del Novecento.   

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