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Usa, dolore e duello

  • Gianni Spartà
  • 15/09/2024
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Kamala Trump Ground Zero

Non è un duello con i fiocchi, dall’America ci si aspetterebbe di più. In fondo si contendono la Casa Bianca due minestre riscaldate e una delle due è rancida per quanto accadde a Capitol Hill il sei gennaio del 2021. Trump e Kamala Harris bisticciano: ciascuno rivendica la vittoria al primo round de confronto televisivo e lo fanno nell’anniversario di una sconfitta, la più grande nella storia degli Stati Uniti: l’attacco fatale al simbolo della Grande Mela e dei suoi alleati in Occidente. C’era un sole nero la New York la mattina del trentasettesimo giorno dalla tragedia di Ground Zero. Il disco ha un bagliore tenue, malato, intermittente, andava questa e veniva, filtrato da una coltre di fumo che ancora s’innalzava dalle fondamenta delle Due Torri. Guardando quella scena da apocalisse, immaginai un volteggiare di anime morte tra nuvole grigiastre: appartenevano a migliaia di persone che non avranno mai una sepoltura. Si erano dissolte nel fragore di due tuoni assordanti, diventarono fiocchi di neve calda come quella che usciva dai camini di Auschwitz. Era il sette novembre 2001, il portiere di un albergo nella Madison teneva la tv accesa sulle ultime notizie della Cnn. Chi è stato, dove si nasconde, colpirà ancora il mostro che manda aerei a schiantarsi contro i grattacieli? Che faccia ha lo spettro che ottenebra l’orizzonte e lo spirito della Grande Mela? Come hanno potuto due aerei bucare lo scudo elettronico di una metropoli come New York, la metropoli simbolo. Siamo arrivati con una delegazione della Regione Lombardia, giornalisti e uomini delle istituzioni accolti dal sindaco Giuliani, ci hanno accolto i pompieri d’America che, con i postini minacciati dall’antrace spedito in pacchi e lettere in quei giorni, incarnano i nuovi eroi anch’essi decimati nelle ore del disastro. Toni, napoletano, proprietario di due ristoranti spazzati via al primo piano delle Twin racconta il suo gesto innocente e al tempo stesso luminoso: intuendo il massacro ha buttato fuori di forza dal locale clienti, cuochi e camerieri. Un centinaio, erano un centinaio: si sono salvati. Un minuto dopo crollava tutto. Il console italiano d’allora Giorgio Radicati guarda il cratere e dice che là sotto ci sono tanti connazionali. Le Gemelle svettavano come due dita tese in segno di vittoria e non ci sono più. Con la loro caduta, l’unica superpotenza sulla scena mondiale in quel Nine Eleven ha assaggiato la polvere dell’oltraggio e sperimentato la difficile speranza della rinascita. Quando riesce a spezzare la tenebra il sole illumina gli inesauribili getti dei pompieri. In un angolo ci mostrano le centinaia di peluche e di giocattoli portati qui dai bambini e dalle mamme di New York per rendere omaggio ai martiri. C’è un grande cartello: «I nostri cuori sono con voi». Vanno e vengono camion e ruspe e là dentro, dove c’erano le Torri, la sequenza è un cimitero a cielo aperto. Hanno trovato frammenti di vite spezzate, pochissimo rispetto all’ecatombe. Per non dimenticare: sono state cancellate 2977 esistenze, 6000 i feriti e nel tempo successivo centinaia di decessi per tumori e malattie respiratorie causate dagli attacchi aerei. Sono passati più di quattro lustri. Ogni anno, in primavera, a Ground Zero gli americani vanno a spiare con ansia la fioritura di un albero da frutto, un pero, che si è come reincarnato quando le macerie erano ancora roventi. Era stato piantato nel giardino ai piedi dei due grattacieli, lo rinvennero i vigili del fuoco dopo più di un mese. Aveva il tronco bruciato, le radici strappate, i rami anneriti dalle fiamme. Ma era vivo. Era un sopravvissuto. Lo trapiantarono in un parco del Bronx, i vivaisti l’hanno curato come una reliquia simbolo di rinascita, nel dicembre del 2010 il Survivor Tree è tornato a Ground Zero accanto al Memoriale. Quell’albero ha vissuto il momento in cui il mondo è stato sconvolto dall’orrore ma non ha imparato nulla.     

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