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Prealpina dei nostri padri

  • Gianni Spartà
  • 11/01/2025
  • 0

Amarcord anni ’70

In uno di quei giorni che ti prende la malinconia ho postato sui social questa foto della Prealpina d’antan, ramo giornalisti. Succede tra Natale e Capodanno, soprattutto se hai appena salutato un caro collega, Ezio Motterle, un vecchio amico, Carlo Lucchina, una signora a cui hai voluto bene, Rosita Missoni. Sono apparse decine di reazioni, la prima di Fausto Bonoldi che ha dettato la didascalia: nella fila in alto Natale Cogliati, Massimo Lodi, Enzo Tresca, io e lui, Faustino il Precisetti. Sotto Vincenzo Coronetti, Antonio Porro, Pier Fausto Vedani, Giuseppe Spadoni. Davanti Gianni Fusetti, Nino Miglierina, Mario Lodi, Gaspare Morgione, Giovanni Rimoldi e Mauro Gavinelli. Anno 1974: eravamo tutti soldati di leva, tranne due caporali, Vedani e Morgione, e due generali di corpo d’armata, Lodi senior e Nino Miglierina. Molti purtroppo sono andati avanti. La gente se la ricorda quella “provinciale di lusso come l’Atalanta” (è uno dei commenti). Alcuni hanno rievocato storie e storielle, uno s’è soffermato su “quello che solleva la coppa”. Dovevamo essere in uno di quei pranzi sociali organizzati da “zio Miglierina”, cognato dell’allora presidente Stefano Ferrario, capostipite di una solida famiglia bustocca che non ha mai mollato le redini del giornale. Dopo di lui il nipote Roberto, oggi sua moglie Daniela Bramati con i tre figli Paola, Davide e Matteo. Puoi fare altro, si dice, ma un giornale nato nel 1888 non lo  lasci, anche se i tempi della stampa quotidiana sono cambiati. Quello che solleva la coppa è il “barone” Enzo Tresca da Santa Maria Capua Vetere, imparentato con i Berrini-Pajetta di Taino. Era una specie di tenente Colombo della cronaca giudiziaria: piccolotto, trasandato, bohemien, la mani che frugavano le tasche dell’impermeabile in cerca della penna, la sigaretta tra le dita, anche quando scriveva a macchina. E’ morto a 34 anni travolto da un’auto, lui che non aveva la patente e ti dimostrava che tra acquisto del veicolo, bollo, assicurazione, benzina, costava meno prendere il taxi. Una notte ne chiamò uno in via Tamagno, dove c’è la sede della Prealpina, e si fece portare a Grandate (Como) dove un tale da lui aveva infiltrato nelle retrovie “nemiche”, gli consegnò la prima copia del nuovo Giornale (si chiamava così) in uscita a Varese. Era il primo dicembre 1973. Enzo sfogliò nervoso la copia fresca d’inchiostro, non vide nessun “buco” (in gergo notizia mancante), telefonò in redazione con una risata esplosiva annunciò: “Tranquilli, la concorrenza non ci ha battuto”. Il titolo di “barone” Enzo se lo attribuiva con quel senso di insicurezza che è alleato del genio. Lui aveva talento da segugio e sapeva scrivere: l’attacco di un pezzo era una doglia che poteva durare mezzora, ma spuntava sempre un fiocco più bello di tutti gli altri. Raccontare tutto ciò fa ridere oggi che la foto di Trump in missione segreta a Luino con Giorgia Meloni la può scattare un qualsiasi ciclofattorino di passaggio con le pizze sul portapacchi. Posta l’immagine sullo smartphone e in un nano secondo lo scoop è bruciato. Altri i tempi prima della dittatura dell’algoritmo. Se ne parlava come minimo il giorno dopo. In redazione avevamo preso molto sul serio l’uscita di un quotidiano alieno in un territorio monopolizzato dalla Prealpina noi. Per poco meno di tre anni il duello professionale ci fu in un’epoca problematica. Sotto la cenere d’una città cattolica, ricca e borghese ardevano le micidiali scintille del terrorismo rosso e nero. Avevamo la ‘ndrangheta in casa da almeno due lustri e non l’aveva capito nessuno: né scribi né magistrati né poliziotti e carabinieri. Ma questa è un’altra storia. Qui accontentiamoci dell’amarcod. Il titolo potrebbe essere: la Prealpina dei nostri padri.

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