Foro Romano amarcord
- Gianni Spartà
- 08/12/2024
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Toghe a Varese
Dove va di corsa l’avvocato Giuseppe Romano, pizzetto da moschettiere, sempre elegante in un fresco lana di sartoria? E’ uscito dal tribunale, l’aspettava un taxi, ci è saltato sopra ed è sparito. Niente di strano, se non fossimo nei mesi bollenti di Varesopoli 1992: arresti a grappoli, in totale 103, la Prima Repubblica disossata, Umberto Bossi appostato come Gatto Silvestro davanti alla gabbia della canarina Titti. Radio-serva spiffera che Romano si sta dirigendo verso l’aeroporto di Agno, nel Canton Ticino, dove l’attende un executive, destinazione Francia. Va a incontrare un politico varesino che ha deciso di costituirsi tornando in Italia. Il suo difensore lo raggiunge secondo un piano concordato con gli inquirenti. Il fotografo Domenico Ghiotto passa casualmente da quelle parti e sulla Prealpina del giorno dopo Giuseppe Romano compare con l’aria assorta mentre è in attesa dell’imbarco ad Agno. Fine dell’espediente narrativo. Non voglio rivangare un passato che non interessa più a nessuno, ma abbozzare un ritratto di Giuseppe Romano a trent’anni dalla sua scomparsa. L’episodio raccontato fu una delle sue ultime esposizioni mediatiche. Alle quali il personaggio si prestava, senza inventare nulla nel periodo d’oro delle toghe, pubblici ministeri e avvocati. Ma di lui mi piace ricordare i tratti umani, la signoria ostentata, il gesticolare di scuola napoletana, le arringhe che, esaurite le digressioni di procedura, s’inoltravano sui sentieri dell’iperbole mai ignorando, anzi enfatizzando, un rispetto devoto verso i collegi giudicanti, credo ricambiato. Tempo ben speso per il pubblico che assisteva in aula a quei monologhi, quando non c’erano le fiction televisive dello Studio Battaglia e di Imma Tataragni. Giuseppe Romano, classe 1921, ha avuto in sorte di fare il penalista a cavallo di due distinte epoche forensi. Svanivano i processi per contrabbando alla fine degli anni ’70, s’affermavano quelli per delitti allarmanti: sequestri di persona, rapine, estorsioni, le prime infiltrazioni della mafia al Nord. Poi avremmo conosciuto il peggio per una serie di orrendi delitti. Ai tempi seguivo questa metamorfosi dall’osservatorio della cronaca giudiziaria e ricordarlo a due settimane dalla scomparsa del collega Ezio Motterle ha per me un senso speciale. Abbiamo condiviso tutto quello che accadeva nel palazzo di pazza Cacciatori delle Alpi. Quante toghe di spicco, cito a memoria: Attilio Spozio, Ettore Maccapani, Lucio Paliaga, Cicci Lozito, Piero Pellicini, nel civile Franco Modesti, Ferruccio Zuccaro, Luigi Bombaglio, Giovanni Valcavi. Poi i magistrati in vista: Francesco Pintus, Giovanni Pierantozzi, Ottavio D’Agostino, Emilio Curtò, Giovanni Vigna, Franco Mancini, Paolo Maria Giacardi. Una Jaguar verde con i sedili color panna aggiunge una nota divertente al ricordo di Romano: la portava fiero fin sotto il tribunale dove un custode, vedendola arrivare, avrebbe mobilitato la Protezione civile per trovarle un posto. Due erano le macchine che non potevano essere respinte: la Jaguar di Romano e la 500 decapottabile del giudice Piero Dini. Uno spasso.