Il mecenate col codino
- Gianni Spartà
- 14/12/2024
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Tamar di Giuda
La Tamar di Giuda dipinta da Francesco Hayez (1791-1882) troneggia da una settimana nel Castello di Masnago in una mostra che intende valorizzarla e farla conoscere al grande pubblico. E’ una bella cosa creare un evento di sicuro richiamo attorno a un quadro unico. Ma qui ci preme raccontare che se abbiamo a Varese quest’opera, il merito è di un cinese che ce la donò. L’episodio risale agli anni del grande mecenatismo culturale e ne è testimone l’allora direttore dei Musei civici Silvano Colombo. Il quale durante un meeting del Rotary 1928 ricevette un invito inaspettato: “Venga a casa mia, ho qualcosa da mostrarle”, gli disse un socio del club di cui si sapeva che era ambasciatore di Mao in Italia per gli affari industriali. Bevuto il caffè, l’ospite si trovò di fronte all’immagine di una donna misteriosa sullo sfondo di un cielo azzurro, appena velato da nuvole. Aveva una veste bianca aperta sul davanti così da mostrare il seno nudo, sulle spalle e sul capo un ampio manto, nella mano sinistra un bastone ricurvo e al collo un ricco monile dorato. Il quadro era stato commissionato ad Hayez dai Tacciòli, un tempo proprietari di Villa Mirabello. Bene, quella donna è Tamar, personaggio biblico, che rimasta vedova di Er si finse prostituta per sedurre il suocero Giuda. Ci riuscì ereditandone i tesori. Il benefattore cinese si chiamava Chang-Sai Vita: era nato a Shanghai nel 1884, ma il cognome veniva da una milanesissima famiglia ebrea. A fine Ottocento il padre Arturo si era invaghito di una ballerina: ripudiato dai suoi, partì con lei per l’Oriente dove mise al mondo undici figli, tra i quali Chang Sai che girava con teatro mobile e organizzava spettacoli ambulanti. Tornato in Italia egli si stabilì a Varese in una villa immersa in un parco nel rione della Brunella: giocava a golf a Luvinate, a canasta faceva coppia con la moglie Adele Pesaro in un club esclusivo nel centro storico: il Circolo. Viso rotondo, occhi scuri, vestiva all’occidentale e camminava appoggiandosi, più per vezzo che per bisogno, a un bastone di bambù simbolo di eleganza. Sulle spalle gli penzolava sulle spalle un codino di capelli neri che spuntavano da una bombetta. Le sue referenze economiche: era proprietario del marchio d’abbigliamento Valstar con fabbriche in Lombardia, aveva buone amicizie negli ambienti hollywoodiani, tant’è che Jane Fonda indossò un riconoscibilissimo giubbino Valstar nel film “Non si uccidono così anche i cavalli”. Suo zio Astorre, fratello di Arturo, si occupava della cartiera Vita-Mayer di Cairate, oggi in rovina. Non è tutto: Chang Sai Vita, sepolto con la famiglia nel cimitero del Sacro Monte in una cappella cattolica, è lo stesso personaggio che donò a Salvatore Furia, e quindi al Comune Varese, un assegno di 50 milioni di lire del 1960 per costruire l’osservatorio astronomico del Campo dei Fiori. Ma questa è tutta un’altra storia.