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Il frate e l’assassino

  • Gianni Spartà
  • 17/01/2025
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Pane del perdono

La Marcia della pace del decanato di Varese sosterà domenica davanti al carcere dei Miogni, la Grassi spa decide di dare lavoro a dodici detenuti rinchiusi a Busto Arsizio: il presidente della Confidustria varesina propone un modello, lo accoglie con un protocollo Salvatore Pasquariello, prefetto sensibile al sociale e alla fede. Significa non pensare che il peggio stia sempre al di là di un muro e avere attenzione per chi ha sbagliato. Oppure non ha sbagliato affatto e aspetta in cella il momento tardivo di una sentenza. La chiamano custodia cautelare. Penso a quel frate che nel 1998 “osò” dare l’assoluzione in una cella-confessionale a un giovane che aveva appena sterminato la sua famiglia a Cadrezzate. Putiferio tra i magistrati che vedevano comprensibilmente scavalcate le loro toghe solenni dall’umile saio di un cappellano; choc nella pubblica opinione scossa dal massacro di Caino. Pochi furono disposti a considerare la differenza tra giustizia umana e misericordia divina. Quasi nessuno si ricordò di un altro francescano, frate Cristoforo, molto più famoso di padre Gregorio della Brunella, che nei Promessi Sposi, prima di rinchiudersi in un convento, s’era recato nella casa del fratello di un uomo ucciso quando non era ancora consacrato e ne era uscito con un dono prezioso e imprevisto: il pane del perdono. Pochissimi, infine, pensarono che la demarcazione tra buoni e cattivi non è una muraglia di pietra invalicabile, ma una sottile striscia nell’anima: ciascuno, soprattutto un prete, la può superare interrogando la propria coscienza. Col coraggio della Speranza, la parola usata da Francesco per aprire il Giubileo 2025. Se così non fosse sarebbero scartoffie i vangeli. Non credo che padre Gregorio, scomparso a 88 anni, avesse fatto ragionamenti teologici all’indomani di una strage orrenda. E dubito si fosse sentito in colpa violando il precetto del segreto confessionale dandoci la notizia. Agì d’istinto. Aveva incontrato dietro le sbarre quel disgraziato che manifestava l’urgenza di parlare con Dio, prima che con i magistrati, e creduto al suo smarrimento. Era fatto così quel frate zoccolante che di tanto in tanto portava nelle redazioni dei giornali la voce degli invisibili, cioè dei detenuti con le loro colpe e i loro diritti dimenticati. Veniva a raccontare il sovraffollamento delle celle, cinque persone dove ce ne potevano stare due. I Miogni sono sempre lì, davanti a una scuola, ristrutturati in parte, sempre indegni di un capoluogo del Nord evoluto. La scandalosa assoluzione ormai è materiale d’archivio. Il perdono terreno resta un mistero insondabile, padre Gregorio è morto e sono morti Pannella con i suoi digiuni di protesta in difesa dei senza voce e Giovanni Paolo II che nel 2002, accolto dalle Camere riunite, chiese quasi in ginocchio ai parlamentari di concedere un’amnistia. Si contano a decine i suicidi in carcere, a nessuno importa nulla. Tira il gruppo il generale Vannacci semplificando le ragioni profonde che hanno convinto un pontefice ad aprire una porta santa anche in un penitenziario.   Riposa in pace, caro Gregorio.

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