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Danza per un delitto

  • Gianni Spartà
  • 05/02/2025
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La figlia e il padre ucciso

E’ stata l’occasione di annegare nella bellezza della danza il dolore per la perdita di mio padre, vittima di un delitto di mafia rimasto impunito. Ma non c’è rabbia, credetemi: in famiglia non ci siamo fatti cannibalizzare da questo sentimento. Lo spettacolo è andato in scena in numerosi teatri Europa dove nulla sapevano della mia tragedia intima. Qui a Varese molti sanno e le sensibilità saranno diverse”. Marta Ciappina, 45 anni, ormai artista di fama internazionale, parla di un lavoro teatrale che sabato prossimo approda allo Spazio Yak delle Bustecche, ore 21. Il titolo è “Gli Anni”, autore il ballerino e drammaturgo Marco D’Agostin che si è ispirato a un romanzo omonimo di Annie Ernaux e a una celebre canzone degli 883 per riprodurre emozioni in una sorta di cruciverba. In orizzontale scorrono le movenze della vita di Marta, in verticale si sviluppano, attraverso suoni, oggetti, filmati d’epoca, fotografie le fasi salienti degli anni ’80 in Italia. Nessuno a Varese ha dimenticato quel terribile colpo al cuore: un avvocato ucciso a lupara per aver sfidato in una causa civile l’arroganza e le minacce di un avversario e per aver difeso il buon diritto di un suo cliente. Siamo nel luglio 1991: la notizia arriva a palazzo di giustizia poco dopo le nove del mattino. “Hanno ammazzato Vincenzo Ciappina nel cortile davanti alla sua casa di Biandronno”. Corrono tutti: giudici, investigatori, cronisti, amici. Vedono una camicia bianca insanguinata, lì vicino un mucchio di paglia, sui gradini d’ingresso la moglie Licia Politi in lacrime che dice subito chi può essere stato. Vincenzo ne aveva parlato solo con lei, nascondendo ai tre figli la paura che aveva dentro. “Vi ho portato il gelato, anche per oggi è andata bene. Sono vivo”, aveva detto alla famiglia rincasando. Pochi giorni dopo era morto per mano di un sicario arruolato in Calabria dal mandante dell’omicidio abitante a Varese. Questa la ricostruzione giudiziaria mai sfociata in un processo. Marta, aveva dieci anni. L’estate prima in un video familiare applaude il padre che sulla bicicletta da corsa scala gli ultimi metri della salita del Tindari, dove sorge un santuario mariano, in provincia di Messina. Con lui tre amici, ciclisti come lui. E oggi ecco la trasfigurazione artistica dei ricordi di una bambina. “Devo tutto al genio di D’Agostin. Ha capito dove erano finiti quegli anni, ne ha fatto una biografia collettiva nei quali lo spettatore si riconosce”, spiega Marta Ciappina che ha studiano danza moderna a New York. “Sul palco porto oggetti simbolici: lo zainetto di una adolescente, un cane di ceramica simile a quello in carne e ossa avvelenato dall’assassino perché non abbaiasse mentre s’avvicinava alla nostra casa, un telefonino che squillava per intimidire mio padre. La mia è una danza astratta che s’affida alla drammaturgia del corpo”. Giorni fa in un teatro della Svizzera Marta ha colto l’empatia di un pubblico ignaro dell’omicidio Ciappina ma colpito dalle trame mafiose che hanno insanguinato l’Italia quando furoreggiav Gli Anni degli 883.                  

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