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Memorandum Famedio

  • Gianni Spartà
  • 29/03/2025
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Varese il suo ’900

Nell’elenco dei trentaquattro nomi che saranno scolpiti nel Famedio del cimitero monumentale a Giubiano c’è la storia fulgida della Varese del Novecento. Vi figurano nativi e no, in tutti i casi si tratta di personaggi che da queste parti si sono conquistati la fama e l’hanno lasciata in eredità ai posteri perché ne facessero tesoro. La solennità con cui la città ha cominciato a guardarsi alle spalle scoprendosi ricca - di quella ricchezza che fu di menti eccelse e di formidabili condottieri- era testimoniata giorni fa dalla presenza dello Stato a Palazzo Estense in un consiglio comunale aperto alla popolazione. C’era il prefetto accanto al sindaco, quasi a dire che il Paese intero manifestava plauso a questo angolo di Nordovest, benedetto non solo per le bellezze paesaggistiche. E’ il primo elenco quello reso noto: s’allungherà e si allargherà nel tempo e nello spazio, colmerà lacune inevitabili quando i contemporanei mettono mano a vicende delle quali hanno preso visione sui libri o nelle cronache. Ciascuno avrà sentito dei vuoti mentre si svelavano le note biografiche dei prescelti. La mia generazione il vuoto l’ha sentito, forse per la suggestione del luogo, quando nell’aula non è risuonato il nome del sindaco degli undici anni: Mario Ossola. Medico tisiologo, partigiano bianco salvato dai rastrellamenti nazisti per l’audacia della famiglia di don Pasquale Macchi che lo nascose in casa, egli guidò Varese (1964-1975) con la fermezza richiesta quando in consiglio comunale c’erano autorevoli professionisti della città e sui banchi dell’opposizione comunista sedeva Ambrogio Vaghi, lui già incluso nel Famedio. L’Italia era in corsia di sorpasso per via del miracolo economico, Varese inaugurava opere pubbliche come il palasport, la piscina di via Copelli, il parco della Schiranna, i campi da tennis dell’Azienda di Soggiorno davanti all’ippodromo. Nello sport, poi, spasso per tutti: il Varese di Anastasi nel calcio, la leggendaria Ignis nel basket. Passando dalla politica all’industria e pensando al Famedio come a una Spoon River varesina, sono certo che, tra tanti altri, ci sarà posto per Silvio Mazzucchelli, terza generazione della famiglia che dal 1849 ha trasformato Castiglione Olona nel paese della plastica per montature d’occhiali, calotte d’elicottero, sci, palline da ping-pong. Gran liberale, amico di Piero Chiara, padre di Adele campionessa nel volo a vela, Silvio viveva in cima al colle del San Pedrino, ma di principesco aveva solo la residenza che nei fine settimana diventava il pensatoio di un uomo sobrio. Pioniere e importatore dall’America della celluloide, il suo impegno civile lo mise dapprima per combattere l’analfabetismo operaio inventandosi una scuola primaria nella sua fabbrica, poi per finanziarie, all’Itis, oggi Newton, l’istruzione di periti plastici quando le materie gettonate erano prevalentemente la meccanica e l’elettronica. Per anni Varese ha avuto l’esclusiva nazionale di questa specializzazione. Che Mazzucchelli badasse ai propri affari sostenendo quel tipo di diploma, è ovvio: i polimeri rappresentavano il pane quotidiano del suo business. Ma il tornaconto di un industriale illuminato e colto coincideva con le aspettative del Paese pronto a imboccare la strada dello sviluppo anche con la chimica. Diceva Silvio: è una bugia che l’operaio italiano sia il migliore del mondo. E ’il peggiore, ma solo perché non è formato. Se lo fosse come lo svizzero e il tedesco non avrebbe rivali. Aspettarsi qualcosa dallo Stato? Tempo perso. Meglio portarsi avanti in proprio con strategie che potevano odorare di paternalismo, ma erano efficaci. Conclusione per i nostri giorni insidiati, ma anche stimolati, dall’intelligenza artificiale. Era un mondo a parte quello di Mazzucchelli. Ma sarebbe un mondo al contrario quello che dimenticasse come l’Italia di oggi, nonostante le mirabili rivoluzioni tecnologiche, viaggi ancora a rimorchio delle grandi intuizioni dell’Italia del Novecento.  

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Mario Ossola

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