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Diamo il Nobel a Lampedusa

  • Gianni Spartà
  • 13/07/2019
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C´è la suggestione della letteratura, Mario Vargas Llosa, che vorrebbe assegnare il Nobel per la pace a Carola Rackete. E c´è stata, mesi fa, la mobilitazione di un gruppo sovranista tedesco che l´onorificenza universale voleva conferirla a Matteo Salvini. La Capitana e il Capitano, entrambi coraggiosi. Chiudiamola così, per carità. Diciamo che se ne riparla più avanti, quando fa meno caldo. Ma nell´attesa ragioniamo su chi meriterebbe davvero il riconoscimento, non per la pace, parola grossa, ma per la suprema virtù, concetto minuscolo, che può generarla: la tolleranza. A nessuno viene in mente che questo premio spetterebbe a Lampedusa, una zolla di terra in mezzo al Mediterraneo, colpita dalla più severa delle maledizioni. Quando ha smesso di essere sulla traiettoria dei missili lanciati dall´irrequieto Gheddafi - e una volta uno di questi aggeggi si fermò a poche centinaia di metri dalla Spiaggia dei conigli - è diventata il capro espiatorio di una vergogna planetaria. Né l´Europa né l´Africa, giganti diversi, sono stati capaci fin qui di salvarla dalla rovina degli sbarchi. Che ci sono dal 1994 e nessuno diceva niente allora. Poi sono cominciate le tragedie, volute, previste, organizzate sulla pelle di madri e bambini e il porto dell´isola è diventato un set. Centinaia di network, schierati come un´artiglieria, pronti a trasmettere immagini di cadaveri chiusi in sacchi di plastica dopo essere stati estratti dalla stiva di un barcone, dove non si respirava più per i gas di scarico e si moriva lentamente. Anestetizzati. Infine la battaglia di questi mesi tra buoni e cattivi, tra chi chiude i porti e chi forza il blocco, tra le autorità italiane e le Ong. Buoni e cattivi? Vai a capire il paradosso. Ma andando a capirlo si è scoperto quanto un ragazzo di laggiù, Giacomo Mercurio, che faceva l´impiegato in un albergo e ora grida nel deserto dal microfono di Radio Delta, ci spiegò l´estate del 2011 mentre i media raccontavano l´eccidio quotidiano, quasi fosse un reality show. Ci disse Giacomo che le notti di Lampedusa erano popolate da fantasmi, che alle prime luce dell´alba, lontano dal palcoscenico internazionale, cioè il porto, centinaia di alieni con la pelle nera approdavano non visti, toccavano terra e sparivano. Vivi e vegeti, a differenza delle mummie allineate sulla banchina in attesa del sopralluogo del magistrato di turno. Quello era il focolaio della peste, lì la gente di Lampedusa avrebbe voluto le telecamere. Sono passati otto anni e si conferma che i ladri hanno gabbato le guardie, che le battaglie navali sono roba da fumetti, che dall´inizio del 2019 i profughi fatti ballare per giorni tra le onde prima dello sbarco da navi umanitarie sono 297 mentre gli "invisibili" scesi da taxi criminali senza bandiera, per lo più pescherecci clandestini, sono stati non meno di tremila. Entrati illegalmente in Italia, loro sì, mentre il governo giocava a braccio di ferro con il comandante della Diciotti e l´olandesina al timone della Sea Watch 3. Cambia qualcosa? Moltissimo. Gli attracchi più pericolosi sono quelli non intercettati. Difficile che sui battelli delle Ong si trovino latitanti, pregiudicati, magari terroristi. Facile che costoro siano arrivati e spariti utilizzando, oltre tutto, passaggi sicuri. Lampedusa è vittima consapevole di questa schizofrenia, perciò - insistiamo- merita il Nobel più della ragazza spericolata e del ministro sceriffo. L´isola che in dieci anni ha perso tutto, immagine, turisti, affari; l´isola sulla quale gli abitanti si salutano dicendo "O´ scià", che significa "fiato mio", cioè il respiro, il dono più grande della vita; quest´isola dove nuotano ignare le tartarughe, sta dando a tutti noi una grande lezione di civiltà. Mai una manifestazione di xenofobia, di razzismo, mai una reazione di rancore collettivo. Certo: Salvini ha vinto anche qui, alla fine del mondo, e Giacomo racconta che furono i dirigenti di Radio Padania libera a suggerirgli come ottenere le frequenze per la sua emittente, ancora troppo locale per fare audience. In quindici anni i lampedusani hanno praticato solidarietà e responsabilità sociale. Memorabile il gigantesco cous-cous organizzato in piazza dalle famiglie nel 2012 per sfamare migliaia di profughi abbandonati da tutti. Fu uno dei primi fallimenti governativi. Una profezia. Siamo nel pieno di un´altra estate. Ci dicono che gente sull´isola ce n´è poca ed comprensibile: turismo compromesso da anni. A Rimini, a Jesolo avrebbero chiesto, non da ora, lo stato di calamità naturale. I lampedusani, perseguitati da mali antichi, si accontenterebbero che le loro mamme non dovessero andare a Palermo a partorire a loro spese; che la nave dal continente non arrivasse a singhiozzo; che il cimitero in gran parte occupato da tombe senza nome, quelle dei profughi, avesse più spazio. E´ questo il Nobel che la gente di qui si aspetta nell´immediato. Tra una battaglia navale e l´altra, Salvini, se legge, provveda.

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