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La birra degli ammalati

  • Gianni Spartà
  • 13/04/2020
  • 0

Poretti, e siamo ancora qua

Tutti in fila come fanti, uno dietro, l’altro avanti: è la cantilena con cui assillavamo i nostri figli quand’erano piccoli durante una passeggiata nei boschi. Mi tornata alla mente mentre attendevo il mio turno all’ingresso di un supermercato facendo la fila per la spesa. Adda passà  ‘a nuttata: per ora è così fino a quando questo schifo di coronavirus non la smetterà di flagellarci. Vedendo i carrelli in uscita ho notato, tra le merci,  la prevalenza di un cognome tra coloro che avevano acquistato birra: Poretti. Incredibile la longevità di questo marchio coniato nel 1877, 143 anni fa. Era morto, è rinato. E a farlo rinascere sono stati i danesi della Carlsberg padroni della fabbrica che si trova all’imboccatura della Valganna, in territorio di Induno. Ci furono polemiche quando Angelo Poretti da Vedano Olona si mise a fare industria nei pressi della Fontana degli Ammalati. Insorsero gli ecologisti ante-litteram. Dicevano: tra Varese e Induno è cresciuta la fama di un luogo di notevole richiamo turistico e terapeutico raggiunto in carrozza dai milanesi le domeniche d’estate e nessuno muove un dito davanti alla sua devastazione? Le rampogne non produssero nulla. Naufragati i progetti di ancorare le virtù delle sorgenti a qualcosa di duraturo, fossero terme o bagni, Angelo Poretti andò per la sua strada. Ci avevano provato in tanti a fabbricare birra nel circondario di Varese. Gli storici citano i tentativi di Geltrude Amati e di Paolo Laufùr e raccontano di come si rivelarono puntualmente vane le imprese di fare concorrenza al prodotto che nella seconda metà dell’Ottocento andava per la maggiore alle latitudini settentrionali: la "birra di marzo" prodotta a Chiavenna e smerciata in fusti e bottiglie nelle più importanti drogherie della regione. Si chiamava così perché la distillavano in primavera: avendo una forte gradazione, resisteva nei mesi estivi e la si poteva consumare fino a ottobre.  Complicavano le cose le "bionde" di Vienna e di Praga, considerate di ottime qualità. Senonché arrivò Poretti e i frequentatori abituali della sorgente presero a far visita alla catene di produzioni che il principale in persona si peritava di  descrivere, come un diligente cicerone, per poi offrire «tazze spumanti» a quanti non si contentavano di vedere ma volevano provare. Il mercato recepì il messaggio e lo tradusse in profitto. Poretti non lesinò investimenti, in ciò aiutato dai suoi due soci finanziatori,  Romeo    Lanfranconi e Angelo Nicora. I padroni del vapore sono cambiati: impera una multinazionale.. Lo stabilimento no: un autentico gioiello dello stile Liberty costruito dall’architetto toscano Achille Stacchini e da due ingegneri di Stoccarda, Bihl e Woltz. Conciliare produttività ed estetica: il caso della fabbrica-monumento ha fatto epoca e segnala le non trascurabili disponibilità economiche di coloro che la commissionarono. La dinastia dei Poretti uscì di scena negli anni ’40 del Novecento sostituita da un’altra famiglia lombarda, quella dei Bassetti che continuò a produrre birra a Induno rilanciando il marchio Splugen. Poi la svolta multinazionale. Diceva la pubblicità: chi beve birra campa cent’anni. Chi la produce di più. 

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Birra Poretti Induno Olona Carlsberg

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