Zambo e Berlinguer
- Gianni Spartà
- 01/05/2020
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Uniti davanti al male
Quante volte in questi giorni di emergenza nazionale ci è tornato alla mente un personaggio che in situazioni di questa portata si trovò spesso: Giuseppe Zamberletti, padre della Protezione civile, commissario straordinario del governo quando la terra tremò terribilmente in Friuli e in Irpinia, 1976 e 1980, e quando ne fu sommersa tragicamente in Valtellina, 1987. O allorché, con sentimenti rovesciati rispetto ai nostri tempi, egli fu incaricato di salvare, non di lasciare a bagnomaria, profughi vietamiti in fuga dall’orrore della guerra, nel 1979. Ma a lui abbiamo pensato anche e soprattutto, per come riuscì a piegare la politica agli interessi del nostro Paese, spazzando via il clima del tutti contro tutti che in queste ore lascia esterrefatti gli italiani. Negli ospedali e nelle case di riposo si muore soffocati dal Covid che spreme i polmoni come una spugna fino all’ultima goccia di ossigeno e in tv, sui giornali, in parlamento ci si prende a randellate, con gli occhi di fuori. “Zambo” era democristiano fino al midollo ma non partecipò mai al gioco delle correnti. Intelligente, concreto, ideologicamente gollista, mentre il Pci avanzava al punto da ispirare a Moro l’espediente del compromesso storico, l’uomo del Sacro Monte riuscì a individuare in Enrico Berlinguer il più sorprendenti degli alleati. Come se oggi Conte, Salvini e la Meloni diventassero improvvisamente amiconi. Non è retorica, sono fatti storici che Zamberletti ebbe modo di raccontare più volte agl’intimi. In Friuli il segretario di partito che regolarmente lo andava a trovare tra le macerie della prima scossa (6 maggio) e nello sconforto dopo la seconda (11 settembre, una data diventata simbolica), era proprio il capo del comunisti. Il quale non faceva sconti al commissario: voleva visitare autonomamente le tendopoli, parlare con la gente e con fornitoti delle casette prefabbricate. Al termine del giro, si recava in prefettura a Udine per confrontarsi col “nemico”. Un giorno gli disse quello che pensava lui e che si auguravano i friulani: “Caro Giuseppe, tu da solo non ce la puoi fare. Noi dell’opposizione ti aiutano e di aiuteremo fino in fondo perché questo è un disastro che pesa sulle coscienze di tutti. Patti chiari, però: se fallisci, se sbagli, se scivoli su qualche buccia di banana, ci rivolteremo contro e per te sarà la fine”. Inutile dire che si trattava di due galantuomini. Il Paese era sotto l’assedio del terrorismo rosso e non aveva dimenticato la strage nera di Piazza Fontana. Due due anni dopo le Brigate rosse avrebbero rapito, processato e ucciso il presidente della Democrazia cristiana. Il patto di sangue tra Zamberletti e Berlinguer, tuttavia, calmò le tensioni da terremoto, anziché acuirle, e spianò la strada alla nascita di un governo di unità nazionale guidato da Andreotti, sul genere di quello invocato da qualcuno oggi, nella fase più delicata della battaglia contro il Coronavirus. La differenza sta nelle qualità del legno di ieri e del cartone di oggi. Una classe dirigente fu diserbata da Mani Pulite; per costruirne un’altra, magari con stessi difetti individuali, ma con innegabile professionalità collettiva, il tempo trascorso non sono è bastato. Ce ne rendiamo quando i tg della sera trasmettono il cosiddetto “pastone”, vale a dire la somma delle dichiarazioni dei vari leader. Un altro particolare non trascurabile: Zamberletti è entrato nella storia come il primo democristiano che si dimisi dal governo, non in seguito a sollecitazioni esterne, ma a spontanea, testarda volontà, quando un suo segretario venne arrestato proprio in Friuli per una tangente da dieci milioni di lire. Lui non c’entrava niente e non era più commissario, ma quello era un suo uomo. Ora, lasciando perdere i confronti, questo Paese politicamente disunito mentre pare che il Covid freni e in un amen potrebbe accelerare, preoccupa, se è possibile, quanto la pandemia. Più volte è stata evocato il Dopoguerra davanti al flagello del virus. I paragone si rivela un abbaglio, specialmente dopo l’ultimo decreto del presidente del Consiglio, quello sulla ripartenza scaglionata e prudente. Un minuto dopo era di nuovo rissa, anche tra virologi, alcuni dei quali danno l’impressione di uscire di casa al mattino sotto braccio al proprio Ego. La crisi la risolve chi comanda, non chi consiglia. La disgregazione sociale è nemica di quella parola che Zamberletti ha avuto sempre nel cuore: ricostruzione. Anche morale.