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Euro a catinelle

  • Gianni Spartà
  • 20/05/2020
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Occhio agli evasori

Quando i soldi cadono a pioggia come quella che ruscellava qualche giorno fa dalla guglie del Duomo di Milano durante un nubifragio, la diffidenza prevale sul sollievo. Siamo un Paese  recidivo per l’evasione fiscale e per la criminalità organizzata sempre pronta ad apparecchiare  tavola. Non si esclude che tra tanti beneficiari davvero bisognosi di aiuto, s’infiltrino orde di approfittatori e mafiosi. Lo stesso vale per le scarcerazioni causata dalla paura di contagi dietro le sbarre. Senonché abbiamo 62mila detenuti su 51mila posti e allora chi si strappa le vesti per “porte aperte a delinquenti” ha come minimo la coda di paglia. Non vogliamo amnistie, non abbiamo costruito nuove prigioni né risanato le vecchie? Becchiamoci le liberazioni d’emergenza. Comunque su 376 congedi solo 3 riguardano pericolosi capi bastone sottoposti al 41 bis. E’ strepitosa la vignetta di Giannelli con Conte e Gualtieri che se ne lavano le mani sotto due rubinetti a forma di 55. Quel numero si riferisce ai miliardi di euro appena distribuiti a parole (troppe: quasi 500 pagine di decreto, quante ne contempla Guerra e Pace) per curare l’Italia massacrata dal Covid. L’equivalente di due finanziarie, una cambiale pesante trasmessa alle future generazioni senza la certezza che andrà tutto bene. Anzi, col sospetto che potrebbe finire molto male. Il Paese era già malato senza la pandemia. Come la scienza non trova ancora il rimedio alla prima pestilenza del terzo millennio, così l’economia cerca, fin qui invano, il vaccino della stabilità. E intanto il gavettone di denaro appena scagliato non soddisfa tante categorie forse incontentabili, forse illuse che si possa cambiare facendo sempre le stesse cose, forse semplicemente disperata perché la botta è stata tremenda.  Quando c’è di mezzo la borsa i nuovi orizzonti tratteggiati in tre mesi da filosofi, sociologi, teologi per indorarci la pillola svaniscono: nessuno si sente vocato a contemplare il creato che senza rumori, con gli animali sulle strade vuote, ci ha offerto il meglio di sé. La Repubblica si dissangua, le proteste dilagano e se un artigiano o un barista incontra chi ha inventato la storia delle decrescita felice lo copre di legnate. Al diavolo la regola: più mercato meno Stato. Da che cosa dipenda il fenomeno si può spiegare in parole povere: l’erba del vicino protetto da reddito pubblico o da rendita privata è ovviamente più verde. Chi fa impresa, garantendo a suo volta stipendi e salari, non ci sta a tornare al punto di partenza, come nel gioco dell’oca: vuole ripartire da dove era arrivato prima della clausura forzata. E gli va bene il turbo statalismo, vuole fare il pieno anche se da prima della pandemia sapeva di pilotare una macchina vecchia e obsoleta,  da rottamare o vendere a chi fosse capace di sostituirle il motore. O il guidatore. Non si possono fare confronti con il Dopoguerra, non solo per l’assenza di un piano Marshall, magari cinese. Allora c’erano i ricchi ricchi (pochi) e i poveri poveri (quasi tutti). C’erano la fame, la rassegnazione al sacrificio, l’inventiva ripagata poi dal miracolo degli anni ‘60. Oggi c’è un ceto medio evoluto, moderno e diffuso che comprensibilmente rifiuta di rinunciare allo stato sociale di cui godeva. Può mettere una pietra sopra alle perdite di tre mesi di inattività, ma vuole specchiarsi in una classe dirigente sicura: 1) di poter mantenere quanto ha promesso; 2) di conoscere che futuro ci attende quando i finanziamenti a fondo perso, le casse integrazioni in deroga, la grandinata di bonus avranno esaurito il loro effetto; 3) di saper abbandonare la rotta delle terapie intensive per imboccare quella di una graduale guarigione. Onestamente queste garanzie, per ora, non esistono. Non sono uscite idee rivoluzionare, né potevano uscire da un governo diviso (che cosa accomuna Leu Pd e i Cinque Stelle?) e da un’opposizione arrabbiata (Salvini e Meloni ciascuno per sé, Berlusconi tattico). Si riconosca a Conte, oltre all’attenuante della sfiga essersi trovato a gestire una calamità senza eguali, il merito di non aver sbarellato come suoi illustri colleghi: Trump voleva somministrare agli americani amuchina ammazza-virus, Johnson delirava, poi l’ha fatto rinsavire il morbo. L’inquilino traballante di Palazzo Chigi  doveva morsicarsi la lingua quando ha detto che per il Covid nessuno sarebbe rimasto senza lavoro. Poi  ha cavalcato il puledro dell’assistenzialismo e corre il rischio di esserne disarcionato. Non torneremo ai tempi dell’Iri: la bugia dello Stato-mamma ha già avuto le gambe corte negli anni ’80 quando Prodi trovava cirenei sulle cui spalle caricare la croce di aziende pubbliche decotte. Ci vuole un uomo della Provvidenza? Non basta. Occorrono umanoidi  dai poteri strambi. Come i supereroi.

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