Maniglio felice con Fellini
- Gianni Spartà
- 24/05/2020
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Amarcord
“Per non leggere più stronzate, offese e quant’altro, alla veneranda età di quasi 71 anni, dopo averne trascorsi cinquanta nel racconto della vita e nel rispetto degli altri, avevo due possibilità: 1) togliermi da Facebook come ha già fatto qualche caro amico; 2) fare un po’ di pulizia... Ho scelto la seconda opzione. Col tempo - per adesso ne ho a sufficienza - valuterò meglio e con maggiore serenità la situazione. Come sempre, nulla di personale. Un omaggio alla mia misantropia che avanza. Buona settimana”. Ti rendi conto, Maniglio, che scrivevi queste cose il 12 maggio e due giorni dopo non c’eri più? Lo so: ti nauseava il linciaggio di Silvia Romano, il solito mucchio selvaggio di odiatori che battono le ortiche con le mani degli altri. Veramente la versione originale è più spinta. Pensavi a Carlo, tuo figlio, che stava in Honduras a fare le stesse cose di quella ragazza: aiutare il prossimo. Non ha potuto esserci al tuo funerale, il Covid blocca ancora il mondo. No, Maniglio Botti, non smettere di leggere: questo non è un “coccodrillo”. Tra l’altro arriverei ultimo dopo chi ti ha dato del cronista gentile, del galantuomo, del Maestro, nientemeno che del Duca. E sono stato battuto anche da don Mauro Barlassina: non mi è mai capitato di vedere un prete piangere durante una predica funebre. Però voglio dirti che questa sera, mentre in tv trasmettono La Dolce Vita, io ti vedo nell’alto dei cieli: sei l’ultimo della fila nella fanfara felliniana che chiude il film 8 ½. Marcello Mastroianni è al centro di una decina di musicanti con tromboni e tamburi. Tu suoni l’armonica che avevi sempre in una tasca. Non mi sembri triste. Ti diverti, sei nel tuo mondo: Rimini, il cinema, Sapore di sale, gli anni ’60, i primi amorazzi di una gioventù che non aveva perso l’innocenza. Mancano solo i muli degli artiglieri da montagna che governavi a Vipiteno durante quella naja raccontata a puntate nelle notti in Prealpina prima di impaginare. A proposito una settimana prima di te se n’è andato anche Guerrino Morandi detto Blitz e sempre nel tuo diario virtuale gli avevi dedicato un amarcord pulito, affettuoso, privo di retorica come sanno fare i narratori di razza. Quante volte ti ho implorato, testone, di non disperdere la tua scrittura, di raccogliere in un libro i raccontini che deliziavano tutti, specialmente le signore. Macché: la solita lagna, della quale eri specialista. Cambiavi persino il tono della voce. Altro che i muli con l’obice sulla groppa. Non hai mai voluto ascoltare e adesso tocca ai tuoi amici, all’inseparabile Fiorenzo, di trasformarsi in segugi informatici per rintracciare le tue pennellate. Il libro uscirà postumo, così impari. L’hai fatto apposta? Non credo proprio. Solo pigrizia la tua e d’altra parte Vedani quando eri giovane redattore ti chiamava “brandina”, salvo dire che eri il più bravo. Sei stato, per lui, il figlio che non ha avuto. E per me tante cose ma soprattutto una che ricordavamo ogni Natale quando si scambiavamo regalini. La notte in cui venne al mondo mio figlio Giacomo ti telefonai alle quattro e anziché parlare singhiozzavo come un ebete. ”Ma insomma, che cosa è successo Giannino?” “Maniglio, è nato….” E giù pianti. Credo di aver intuito un sacrosanto “ma vaffanculo”. Senonché un quarto d’ora dopo vidi una figura avanzare dal fondo del corridoio della Maternità al Del Ponte: avevi scarponi d’alpino, perché nevicava, e una giacca a vento azzurra. Non eri mio fratello né mio cugino, mio zio, mio padre. Eri Maniglio che Lucia, l’altra tua figlia, ha detto diventava “Maniscio” in casa: più affettuoso, meno metallico. “La colleganza è un odio vigilante, tieni gli occhi aperti”, mi disse una volta Enzo Biagi con l’aria chi la sapeva lunga. Anche i Maestri possono sbagliare.