Gervasodanotte@...
- Gianni Spartà
- 07/06/2020
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Addio farfallone
Un giorno di primavera del 2015 a Villa Recalcati, Roberto Gervaso diede spettacolo come può farlo uno scrittore di lungo corso, uno strepitoso affabulatore, uno che la sapeva lunga e la raccontava meglio. Cominciò con elogiare Varese che conosceva bene dai tempi in cui ci veniva a presentare i libri sulla Storia d’Italia scritti con Indro Montanelli, di cui i maligni dicevano fosse suo padre. Finì inevitabilmente col rievocare i suoi amori libertini, alcuni dei quali - diceva lui - consumati proditoriamente in qualche lussuoso albergo della città e tutti pensarono al Palace. La platea si scompisciava, l’istrione capiva che pur rispettando lo storico, lo specialista di aforismi geniali, erano quelle storie proibite a entusiasmare la gente. Perché a narrarle era un gran filibustiere della penna autore della biografia di Cagliostro e ammiratore geloso di quella su Casanova scritta dall’amico Piero Chiara. Ma chi era l’ineffabile Gervaso, scomparso giorni fa a 82 anni? Era un viveur double face, esplosivo fuori, malinconico dentro, baciato dalla fortuna di una scrittura affascinante e perseguitato dal male oscuro. Anni prima s’era tolto la maschera di indomabile narciso e di eccentrico indossatore di cravatte a farfalla e s’era spogliato nudo davanti al lettore. Non l’aveva mai fatto, forse temendo di graffiare l’icona del personaggio. Lo fece raccontando in un libro d’essere stato morsicato da un “cane nero”: si era ammalato di depressione come Indro Montanelli, maestro e amico fraterno, aveva sofferto molto, alla fine il quadrupede era stato ucciso ed ecco il bisogno di dare vita alla spogliarello letterario. Utile a se stesso, terapeutico per altri malcapitati. Guarì Gervaso e lo si vede nell’ultimo libro che si (ci) regalò sul traguardo degli 80 anni, portati malissimo, affermava, elencando tutti gli acciacchi del mondo al cospetto delle moglie, bella, intelligente, molto più giovane, paziente e consapevole che gli uomini vanno lasciati parlare. Dunque un altro titolo accattivante: “Le cose come stanno”. Dove? Ma nel nostro Paese naturalmente. E chi le raccontava le cose come stanno in quelle pagine? Un travet del Prenestino, popolare quartiere romano, che Gervaso incontrò al mercato: il ragionier Cesaretto Mericoni, uno dei tanti che guardava con i propri occhi, giudicava con la propria testa, e vedeva, appunto, i fatti come andavano nel Belpaese. Cesaretto raccontava politici indegni di esercitare un potere spesso usurpato, persone forse anche intelligenti, ma non abbastanza per dimostrarlo. Chi era per lui Matteo Renzi? Un mix di Gian Burrasca, Capitan Fracassa, il dottor Stranamore, il barone di Münchausen, Don Chisciotte. Un venditore di fumo in technicolor. Chi era Berlusconi? Un mattatore che è diventato quel che è diventato vendendo arrosto ai vegetariani, e persino ai vegani. Chi era Matteo Salvini? Un Orlando furioso che brandiva una clava. Cesaretto, che per sua e nostra fortuna non è un politologo, parlava dell’Italia a Donald Trump attraverso un amico agente della Cia. Addio caro Maestro, grazie di amicizia disinteressata: sono fiero della tua prefazione a un mio libro che s’intitola “Tutta un’altra storia”. Dalla tua penna sempre corrosiva (e mai corriva) sono usciti ritratti indelebili. E autobiografici perché Cesaretto eri tu, lo stravagante titolare di questa mail: gervasodanotte@…