Quella crociata gialla
- Gianni Spartà
- 04/07/2020
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Missione Vietnam
Chi erano mai questi Beatles? Il gruppo degli Stadio immaginava che a domandarselo fosse la “ragazzina bellina di quindici anni d’età” in una canzone degli anni ’70. Nessuna coetanea, oggi, chiederebbe di sapere chi erano i Boat-people. E se lo facesse, li confonderebbe con quelli visti migliaia di volte in tv a Lampedusa o a Pozzallo. Nessun paragone è possibile per storia, epoca, protagonisti. I Boat-people furono un’altra cosa: vietnamiti, non magrebini, rifugiati politici, non migranti. Sempre donne, uomini e bimbi alla deriva su barcacce, ma non nel mare nostrum, bensì nel mare giallo a dieci giorni navigazione da qui, fuori dall’area degli interessi occidentali. Sicuramente di quelli italiani. Gli altri Stati europei ignorarono la tragedia umanitaria, noi andammo a raggiungere quei disgraziati dall’altra parte del mondo e ne salvammo 907 in due mesi di operazioni. A guidare l’operazione per conto del governo c’era un personaggio che da queste parti abbiamo conosciuto molto bene: Giuseppe Zamberletti, l’uomo del Friuli. Tutto questo accadeva il 4 luglio del 1979, esattamente 41 anni fa. E siccome il Covid ci ha colpito nella pelle e nella psiche, ci ha fatto sentire disarmati e fragili, ma ha anche valorizzato coraggio, sofferenza, senso d’ appartenenza a una patria, fa bene ricordare che questo Paese, non da ora, è stato capace di grandi cose. E lo è ancora, nonostante sia cambiato tutto. Fu Andreotti, d’accordo col Vaticano, a scegliere “Zambo” per esercitare signoria politica e organizzativa sulla missione di tre navi della Marina militare: Vittorio Veneto, Andrea Doria, Stromboli. E quelle navi si trasformarono in centri d’accoglienza, in ospedali, in luoghi di compassione, una volta intercettati i primi 128 naufraghi nel Golfo del Siam. La presenza a bordo di un nunzio di Santa romana chiesa rese esplicite le pressioni della Conferenza dei vescovi perché l’Italia non lasciasse morire in mare tutta quella gente. Un sacerdote cinese fungeva da portavoce e ogni volta che la flotta incrociava carrette stracariche, prendeva il microfono e trasmetteva il messaggio concordato: queste navi sono italiane e sono venute per aiutarvi. Se volete salire sarete portati in Italia, non in altre nazioni, come rifugiati; altrimenti riceverete cibo, acqua, assistenza medica. In quell’estate crudele i boat-people del Vietnam del Sud scappavano a milioni dal regime sanguinario di Hanoi dopo una guerra di vent’anni. Sapevano che i vincitori avrebbero ridotto i loro villaggi in un enorme gulag ed erano consapevoli dei metodi: torture, massacri, lavori forzati, genocidio nello stile cambogiano di Pol Pot e dei khmer rossi. Era rieducazione violenta al verbo del comunismo peggiore. Perché si mosse solo l’Italia? Per i pregi e i difetti di un popolo sensibile. Perché il quel momento governava l’uomo politico più vicino alle gerarchie ecclesiastiche. Perché gli americani erano scomparsi dai radar dopo aver perso la faccia e tanti ragazzi in Vietnam. Perché Francia e Germania non potevano ignorare che il muro di Berlino era ancora in piedi con i suoi delicati equilibri . Politica internazionale paralizzata, intellettuali francesi agli antipodi come il “lab” Sartre e il “lib” Aron, uniti nel pieno appoggio ideologico alla missione. La prima italiana al di fuori dei propri confini dopo la fine della guerra. Mattarella ce la sta mettendo tutta per tenere in pista una politica che sbanda e un Paese disorientato immaginando ciò che lo aspetta nei prossimi mesi. Il commovente Requiem di Donizetti davanti al camposanto di Bergamo, la visita a Codogno, città-martire.La bella storia di una crociata italiana con navi da guerra usate per finalità caritatevoli può, deve ridestare orgoglio. Un anno fa a Zamberletti (e a Salvatore Furia) veniva intitolato un centro studi delle emergenze in uno chalet nel parco dell’ex seminario di Masnago. Più volte egli raccontò quel viaggio da Taranto a Singapore, senza scalo, nel 1979 e l’idea di ricoverare profughi terrorizzati negli hangar degli elicotteri, sui ponti delle tre navi, trasformati in dormitori. Era un “inventore” di soccorsi, portò a termine un’operazione che nessuno aveva mai eseguito a livello di Stato: il salvataggio in mare compiuto senza alleanze tra governi, solo con la tattica dei contatti diplomatici perché nessuno si mettesse di traverso. Pochi se la ricordano la missione Vietnam. Fu una tempesta perfetta. Fatta bene. Per bene.