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Il contagio emotivo

  • Gianni Spartà
  • 13/11/2020
  • 0

Numeri che nessuno spiega

Eravamo stati miracolati nella prima ondata, la seconda ci ha preso in pieno. E come se un corpo sociale, non sufficientemente attaccato dal virus, si sia presentato biologicamente indifeso all’appuntamento con la ricaduta. Senza anticorpi, dice la scienza. Varese nei titoli di apertura di tutti i telegiornali per quella misteriosa cifra, 3081 nuovi casi, che si è materializzata in un botto provocando contagio emotivo. Sono finiti nelle statistiche esiti arretrati di tamponi e test sierologici? A quelli effettuati negli ospedali della provincia, che si allunga per un centinaio di chilometri da Maccagno all’inizio dell’area metropolitana milanese, si sono sommati i referti dei cosiddetti drive in? Affollatissimi in questi giorni i check point di Malpensa, Fontanelle, Bizzozero. Ma il dato di fondo è concentrato in una dichiarazione pubblica di Paolo Grossi, clinico affidabile che misura le parole: “Da quando è cominciata la pandemia qui non avevamo visto niente di simile”. Letti pieni anche negli ospedali periferici, rapidamente attrezzati per supportare l’hub del Circolo. Bravi in direzione generale, ma che brutto quel termine coniato dai ministeriali: i pazienti non sono aerei. Rispetto, per favore. Il vocabolario italiano ha 160mila parole. E poi i quasi trecento contagiati tra infermieri e medici dell’Asst Sette Laghi. La guarnigione viaggia à a scartamento ridotto per le colossali miopie negli anni dell’eccellenza quando tra l’altro col numero chiuso si tagliavano le gambe ad aspiranti camici bianchi. Si sapeva già che, solo in Lombardia, ne sarebbero mancati più di settemila nel 2021. Non è il caso di cantare con Jannacci: “Se me lo dicevi prima…”  Prima è l’oggi, con le code di ambulanze davanti e con il rischio che l’ingorgo da Covid intralci il soccorso al colpito da arresto cardiaco. La questione delle altre patologie rispetto all’emergenza da pandemia non è di poco conto. La dormita estiva c’è stata. I governatori reclamano autonomia, che fa rima con “qui comando io”, ma  quando devono declinarla o sbarellano oppure alla mala parata si eclissano. Maledetta la riforma del Titolo V della costituzione. La volle la sinistra e ha trasformato le regioni in un ipertrofico contropotere. Per il Coronavirus il Paese è stato capace di giocare d’anticipo rispetto ai partner europei e si è preso i complimenti dell’Organizzazione mondiale della sanità. Anche nella seconda ondata, la restrizioni sono arrivate prima da noi che in Francia e in Germania dove hanno Macron e Merkel considerati migliori per il curioso vezzo di vedere più verde l’erba del vicino. Abbiamo avuto tempismo e preveggenza. Poi la palla è passata alla bottega, intesa come coesione nazionale è cominciato il solito festival di quelli che la sanno più lunga ma hanno aspettato a dircelo. Dov’erano quando il sistema sanitario prendeva la strada degli ospedali accorciati plausibilmente rispetto al cambio dei tempi e della scommessa sulla medicina di base, giustissima ma persa? Un bravo dottore di famiglia mi racconta d’aver attrezzato lo studio condiviso con altri colleghi per fare i tamponi in proprio senza disturbare gli ospedali. Ha creato una tendopoli, una specie di tunnel nel quale far entrare i pazienti sintomatici, quindi sicuramente contagiosi; s’è bardato lui con gli altri con tute e visiere. Sapete quanti kit gli sono arrivati? Cinque. E i vaccini contro l’influenza, quelli che se già somministrati (siamo a metà novembre)  consentirebbero a infettivologi, pneumologi, anestesisti ospedalieri di accelerare l’analisi clinica del paziente? Pervenuti col contagocce . Ecco perché fa acqua un sistema sanitario modello di cui dobbiamo in ogni caso essere orgogliosi: la prima promessa di Biden è stata curare tutti gli americani allo stesso modo. Anche quelli che non devono esibire carte di credito per  conquistarsi il diritto al ricovero.

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