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Pablito e Luigino

  • Gianni Spartà
  • 12/12/2020
  • 0

Il cuore del campione

Sette anni, il respiro assicurato da un tubicino che gli pompava ossigeno nei polmoni, Luigino sbarrò gli occhi grandi e scuri quando a piedi del letto vide Pablito in carne e ossa con un pallone tra le mani. “Questo è per te”, gli disse il campione del mondo. Lui si riprese dall’emozione, guardò il padre Giacomo, quasi a farsi scusare la risposta che stava per dare e parò il gol: “Grazie. Ma tu adesso sei del Milan e io tengo alla Juve. Ti volevo bene di più quando eri bianconero”. La scena data 1984, un mese prima del Natale di bombe sul rapido Napoli-Milano: morti e feriti nella galleria di San Benedetto Val di Sambro, uno degli ultimi massacri della strategia della tensione. E a renderla bella e struggente fu il luogo in cui si materializzò: primo piano della vecchia palazzina del pronto soccorso all’ospedale di Circolo di Varese, reparto di rianimazione. Paolo Rossi, che si allenava a Milanello, seppe di quel bambino paraplegico per un incidente della strada, parcheggiato da anni dove non doveva stare. Tra macchine salvavita e malati in coma profondo mentre lui aveva diritto di vivere altrove, a dispetto della sventura. Possedendone la forza e il coraggio. Guardiamo le foto in bianco e nero: Pablito è in tuta sportiva sotto un giaccone blu scuro. Si gode la fama del re di Spagna che nel luglio del 1982 ha umiliato il Brasile e liquidato la Germania. Campioni del mondo, campioni del mondo: risuona ancora la voce di Nando Martellini che annunciò alle genti il trionfo azzurro nello stadio Bernabeu. E nella memoria di una nazione, oggi avvilita e avvelenata dal Covid, appaiono fresche le immagini di Sandro Pertini con le mani alzate e la pipa in bocca che per poco non gli va di traverso. Paolo Rossi, incassato lo sfottò del piccolo Luigi, gli fa un autografo sul pallone donato.  Poi se ne va commosso e felice di quel gesto che è solo il prologo di una storia ancora più bella scritta da essere umani normali, eroi a loro insaputa. Medici e infermieri con in testa il primario rianimatore, il professor  Emilio Bortoluzzi, clinico, poeta e musicologo. Egli aveva fatto appello alla città, attraverso la Prealpina, chiedendo che Luigino fosse aiutato a uscire da un luogo inadatto a ospitarlo per sempre. Spiegava, assumendosi qualche rischio, che un reparto di rianimazione non è posto in cui far crescere una vita segnata dalla tragedia. Bene: captato l’Sos, Prealpina aprì una sottoscrizione e il cuore di Varese si sciolse in un bagno di solidarietà. Raccolti i soldi (una trentina di milioni di lire: decisivo fu il contributo personale dell’allora editore Roberto Ferrario). Fu acquistato un respiratore mobile per poter trasferire il bimbo a casa sua, a Castiglione Olona. Venne preparato il paziente, s’istruirono il padre Giacomo, operario, la mamma Addolorata, casalinga. Si mobilitarono amici, parenti, conoscenti, tutti coinvolti nella gara d’amore. E’ una vicenda d’altri tempi ricordata mentre l’Italia rende omaggio a Paolo Rossi dopo aver pianto per Maradona.  Siamo nel terzo millennio: il respiro di un uomo, di una donna, non pare più bene inviolabile. Impariamo che si può staccare una spina ottenendo da un tribunale l’autorizzazione a farlo. E nessuno osi giudicare, nessuno neghi diritti a decidere e nessuno confonda scienza e morale. Ma nemmeno pare superfluo rompere di tanto in tanto la cortina di silenzio attorno a migliaia di persone che restano coraggiosamente aggrappate alla vita. Luigino è cresciuto, ha 43 anni,. Ha studiato informatica, fa smart working, viaggia in casa e per le vie del suo paese con una carrozzina elettrica e ti viene incontro come in un film di astronavi. Il pilota tiene un’asticella stretta tra i denti, la spinge contro una pulsante su un cruscotto e il veicolo avanza, fa le curve, si ferma. Lui si ricorda benissimo di quella visita illustre in ospedale e la morte di Pablito, ci ha detto al telefono, lo ha reso triste, ma anche orgoglioso di aver incontrato il campione quando la sua esistenza sembrava segnata per sempre da un destino che qualcuno ebbe il coraggio di sfidare. Da uomo e da medico. Chissà se anche Paolo Rossi, nella sua agonia, ha avuto un pensiero per la gioia procurata, tra milioni di appassionati calciofili, a quel piccolo impertinente. Siamo sicuri di sì.                 

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