Blog



La caduta dei bomber

  • Gianni Spartà
  • 25/01/2021
  • 0

Maradona, Rossi e Anastasi

Se ne stanno andando a uno a uno i bomber della mia generazione: a fine 2020 Diego Maradona e Paolo Rossi, esattamente un anno fa, il 17 gennaio a Varese, chiudeva gli occhi per sempre Pietro Anastasi. Nessuno di loro ha pagato dazio a Covid: tutti e tre, non ancora vecchi, sono stati uccisi da  malattie che continuano a sfoltire i ranghi dell’umanità anche se non più considerate. Da mesi si parla solo di lui, il virus invincibile come un campione del dribbling e del gol di rapina.  Catanese di nascita, varesino d’adozione, torinese in carriera, Pietruzzu ha regalato il sogno a tuti gli italiani. Mi piace ricordarlo per un episodio certificato dalla testimonianza di Giovanni Agnelli incontrato molto tempo  fa mentre scrivevo la biografia di Mister Ignis. Correva l’anno 1968, una sera d’agosto. A San Siro giocava l’Inter e uno degli undici con la maglia nerazzurra era Anastasi. I tifosi esultavano: è fatta, Pietruzzu è dei nostri.  WE invece non era fatta per niente.  Peggio: promesso da Giovanni Borghi a Moratti, Pietruzzu era già della Juventus mentre giocava con l’Inter in quella amichevole. Ma nessuno lo sapeva, tranne il re della Fiat e il cumenda della Ignis Borghi che erano in tribuna d’onore durante la partita della beffa. Ecco che cosa mi raccontò l’Avvocato: “Stavamo uno di fianco all’altro, non staccavamo gli occhi da Anastasi. Borghi, che era di fede milanista, guardò un tifoso dell’Inter e gli chiese con gusto sadico: Ti piace il Pietruzzu? Quello rispose di sì. E lui, anticipando una notizia non ancora ufficiale: Be’, è dell’Agnelli. Ci guardammo, cominciammo a ridere e io mi ricordai con un pizzico di rabbia la severa lezione che il Varese aveva dato alla mia Juve nel campionato 67-68 rifilandole un secco cinque a zero con tre reti di Anastasi, diventato da quel momento oggetto del desiderio bianconero”.  Ai funerali del ragazzo della Massiminiana scoperto per caso da Alfredo Casati, allora manager del Varese c’era un vecchio tifoso con gli occhi lucidi. Scattava fotografie alla bara per terra davanti all’altare, guardava la vedova e i figli di cui è vicino di casa e, se è  possibile, era affranto come loro. A un certo punto si girò e  mise il dito nella piaga guardando la basilica di San Vittore da cima a fondo: “Tutta questa gente una volta era sulle tribune dello stadio, la domenica. Adesso la vediamo ai funerali. Che peccato”. C’è una pandemia che fa strage, il calcio si gioca a stadi vuoti. E tuttavia faccio un appello a Davide Galimberti: sindaco, Varese ricordi in qualche modo Anastasi. Una strada, una targa, un concorso nelle scuole sul rapporto tra lo sport e l’industria negli anni del boom. Lo spunto potrebbe essere ciò che scrisse di Pietruzzu Alessandro Barricco: il piccolo- grandissimo campione del Varese calcio, della Juventus e della Nazionale italiana è stato  "simbolo vivente di un’intera classe sociale, quella di chi lasciava a malincuore il Meridione per andare a guadagnare da vivere nelle fabbriche del Nord".   

Aggiungi Commento

Nome
Email
Testo Commento (evidenzia per modificare)

(0) Commenti