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Il fortino sguarnito della Lega

  • Gianni Spartà
  • 23/06/2021
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Candidato sindaco cercasi

Varese è davvero la fortezza della Lega? Per la storia sì, per la l’aneddotica pure, per l’apologia non ne parliamo. Qui, tra un  circolino di quartiere e un convento di frati, nacque il sogno federalista di Umberto Bossi; qui si coltivò l’idea dell’indipendenza della Padania; qui dal 2011 cominciò a sgretolarsi il castello di sabbia. Che a un certo punto aveva esposto il vessillo della secessione, subito ritirato. Ma per voti, consenso e autorevolezza politica l’equazione “Varese uguale Lega” è una suggestione collettiva, un romanzo, cioè una fiction. Cominciamo dalle elezioni del 1997 quando Raimondo Fassa, primo borgomastro d’Italia, rinuncia alla riconferma  perché gli va stretta la camicia verde: di forza per un delicato professore, amante del latino e della Commedia. La partita si gioca a tre: in campo, ciascuno con la sua maglia, Lega, Forza Italia e centrosinistra il salsa civica. E in tre si divide il capoluogo al primo turno: 30% a testa, forse la fotografia più autentica ancora oggi di una città liberale, socialista e cattolica. Al fotofinish vince Aldo Fumagalli che governa un mandato e mezzo, poi finisce sotto processo: niente tangenti, luci rosse. Andiamo al 2006: duca d’Este diventa Attilio Fontana ma il segnapunti dice che l’hanno votato più i berlusconiani (25,4%) che i leghisti (17,7). Non sono trascurabili il 7,4% di Alleanza nazionale e il 3,4% dell’Udc: qui CL. Saltiamo al 2011: non  scende dal trono bosino il futuro presidente della Regione Lombardia, però lo costringe ai supplementari l’insegnante Luisa Oprandi in quota Pd più movimenti cattolici. Maggioritari nel centrodestra sono i voti di Arcore anche in questa circostanza. Nel 2016 il crollo: arriva Davide Galimberti, fa fuori alle primarie Daniele Marantelli, monumento della sinistra, si guadagna le prime pagine dei giornali nazionali perché ha soffocato la Lega nella sua culla. Inaudito non isolato: in tutti i capoluoghi lombardi il centrodestra cede il passo. Ma il Carroccio che deraglia sui binari della stazione di casa fa un certo effetto. Lo fa al pari dell’imbarazzo palpabile per la candidatura di Marco Pinti ad avversario del sindaco uscente. Non che il ragazzo non sia sveglio, impegnato, intelligente, tutt’altro. Ma che nell’ex laboratorio politico della Seconda Repubblica in trent’anni non si sia formata una nuova classe dirigente dalla quale delibare per Palazzo Estense un profilo carismatico ed ecumenico, è deludente.  Novità dell’ultima ora è la cooptazione da parte del centrodestra unito del grande artigiano Giorgio Merletti, presidente nazionale della categoria fino a qualche tempo fa. Vedremo se dirà sì. Certo, doveva essere Roberto Maroni la carta sicura: ministro tre volte con Berlusconi premier,  uomo scafato benché destinatario di sole 313 preferenze nel 2016. Nemo propheta in patria, questa è la regola. Il suo tuttavia forfait lascia trasparire le difficoltà della Lega: il suo fortino storico è sguarnito . Perché succede questo? Ecco un tema da approfondire e un dato da tenere d’occhio: a Varese vivono 80 mila persone, alle ultime elezioni comunali per il ballottaggio tra  Galimberti e Paolo Orrigoni se ne presentarono alle urne la metà, 50,23% contro il 55,89 del primo turno. La Lega perse otto rispetto al 2011. I disertori cinque anni dopo torneranno alle armi dopo e per votare chi? Mah. Intanto striscia il dubbio galeotto:  Galimberti a Varese, Cassani a Gallarate, Antonelli a Busto. E se avessero già deciso che va bene così?

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