Whirlpool, due più due fa tre
- Gianni Spartà
- 16/07/2021
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Comincia la ritirata
La storia è capricciosa. A Napoli germogliò nel 1964 il sogno americano di Giovanni Borghi, primo industriale del Nord che apriva una fabbrica al Sud. E lì avrebbe sperimentato l’evanescenza della Cassa del Mezzogiorno. A Napoli, se ancora non si spegne, certo si ridimensiona nel 2021 il sogno europeo della Whirlpool, erede di seconda generazione della vecchia Ignis dopo l’interregno della Philips. Trecentoquaranta licenziati definitivi nello stabilimento dove troneggia all’ingresso un busto riconoscente dell’operaio che fondò un impero diventando prototipo dei cumenda. Prendere o lasciare: trasferimento a Varese (davvero improbabile) oppure 85 mila euro di benservito. Figuraccia del partenopeo Luigi Di Maio che anni fa aveva fatto il verso a Borgli: ghe pensi mi. Diffidare delle imitazioni. Brutto guaio per Giancarlo Giorgetti cui Draghi ha passato la palla dopo aver incontrato ieri l’altro, reduce da Santa Maria Capua Vetere, operai cornuti e mazziati. Prima la pandemia, adesso la disoccupazione. C’è il caso che si svegli anche il Vesuvio taciturno dal 1944. L’impressione è che sia finita un’epoca. La multinazionale del Michigan, dopo trentadue anni esatti, batte in ritirata. Oggi Napoli, domani chissà. Vuoto da mesi il quartier generale europeo a Comerio, dimezzata e trasferita a Milano la forza lavoro, è evidente che un colosso da sessantamila addetti quotato a Wall Street segua l’onda dei mercati planetari. Se ne individua di più convenienti, li occupa cambiando rotta senza farsi condizionare dagli interessi di uno dei tanti Paesi in cui fabbrica i suoi prodotti. Ed è chiaro che la scelta cada su quelli con le economie meglio attrezzate. E dire che una quindicina d’anni fa gli americani avevano investito trenta milioni di dollari nella fabbrica di Napoli lungo l’autostrada che corre verso Pompei e Salerno: vi avevano individuato il centro europeo del risciacquo, lavatrici e lavastoviglie anche con il marchio tedesco Bauknecht. Che cosa è successo? Certamente si può immaginare un rimescolamento delle carte dopo che nel 2014 Whirlpool, ancora con i piedi ben saldi nel vecchio continente, rilevò gli stabilimenti di un concorrente di peso, la Indesit. Quando due realtà si fondono, la somma delle risorse non è matematica: facilmente due più due fa tre, non quattro. Innegabile ancora oggi è la convinzione americana di aver concluso un buon affare nel 1989, esattamente quando sbarcarono in Italia, scegliendo Varese. Tradizione e tecnologia avanzata. Ma non c’è stato mese negli ultimi dieci anni in cui i capi del personale, una volta acquartierati a Comerio non abbiano asciugato, ridotto, riorganizzato reparti e uffici, tagliando tute blu e colletti bianchi con scarso spargimento di sangue. Qualche rampogna sindacale, di forma più che di sostanza, mai il baccano di questi giorni a Napoli. Per delocalizzare ancora, un gigante presente in Asia, Australia, Medio Oriente, Stati Uniti ed Est europeo, dovrebbe sbarcare su un altro pianeta quando il business dell’elettrodomestico bianco non è più quello degli anni del miracolo. Potrebbe avverarsi prima o poi la profezia che mi fece un alto dirigente americano nel corso del colloquio confidenziale: in futuro Whirlpool avrà tre grandi fabbriche nel vecchio continente, una in Polonia, una in Turchia e una, una sola, in Italia.