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Gli 80 di Bossi con la Lega spaccata

  • Gianni Spartà
  • 20/09/2021
  • 0

Salvini in bilico

Sapete chi è il santo del giorno in cui nacque Umberto Bossi ieri al traguardo degli 80 anni: auguri? E’ San Gennaro che in trasferta a Varese non ha fatto il miracolo di sciogliere il sangue dell’inimicizia tra il fondatore della Lega - benefattore di tanta gente qualunque diventata, grazie a lui, ministro, sottosegretario, parlamentare, governatore, sindaco - e Matteo Salvini, anche lui cavallo pazzo come si conviene al leader di un movimento che da trent’anni deve fare la rivoluzione. Il miracolo, non dal cielo ma dalla terra,  poteva tentarlo Giancarlo Giorgetti. E se un po’ conosciamo l’anima buonista dell’uomo di Cazzago, un’idea in testa lui ce l’aveva: prendere per un braccio il leader, finita la tournée varesina, e portarlo a Gemonio a salutare il Patriarca, magari solo con un “ciao” dalla strada. Invece Salvini è filato a Milano, sapendo di non essere gradito. Forse più dai centurioni del vecchio condottiero che da lui personalmente. E dire che sono i giorni di Pontida, dei riti celtici, della ampolle con l’acqua del Po. Quel popolo è evaporato. Ce n’è un altro che segue con apprensione le mosse a zig-zag del segretario al quale Bossi non può non riconoscere la crescita esponenziale della Lega, ma non gli perdonerà mai d’averla trasformata in qualcosa d’altro. Che a conti fatti non funziona. Intervista a Umbertone il 13 marzo 2017: “La Lega nazionale è roba da coglioni. Salvini non va a Napoli per i voti ma per l’investitura. Gli hanno detto che non può candidarsi a premier con un partito regionale, così può dire che la Lega è nazionale”. Per la verità lo era diventata quando Salvini, ministro dell’Interno, stava al governo con i Cinque Stelle: sfiorava allora il 35 per cento dei consensi. Ora è scesa al 18,5, curioso pari e patta col Pd (sondaggi  trasmessi da Porta a Porta), avendo tre ministri,  Giorgetti, Garavaglia e Stefani sotto il paracadute di Draghi. I saggi fanno notare a Salvini: non puoi attaccare la Lamorgese, come fa la Meloni che però conquista simpatie .Tu eri al Viminale e diranno che ce l’ha con chi ti ha rubato il posto. Niente da fare. Prevale in l’ossessione Giorgia. Ma c’è altro nel processo interno che comincia a montare attorno a Salvini. Il Sud, non ricevendo benefici dall’azione dei partito nordista, è tornato a vecchi schemi. A Napoli, tra l’altro, la lista della Lega è stata estromessa dalle elezioni con sentenza del Consiglio di Stato. Che cosa ha guadagnato Matteo contestando il green pass, accettato dalla stragrande maggioranza dei suoi elettori, per poi ingoiarlo? S’è preso la rasoiata di una lobby che la Lega, partito sostenuto dai ceti produttivi, non ha alcuna convenienza ad alienarsi. “Non stiamo con chi mette il bastone tra le ruote al governo Draghi”, gliele ha cantate Roberto Grassi, presidente degli industriali di Varese. E Matteo ieri ha strigliato ipocritamente il parlamentare ribelle Claudio Borghi. Mica bello. Riassumendo: la Lega finirà per spaccarsi, salvo inversioni a U del suo leader “casinaro”, ma reggerà il colpo. E’ il partito più vecchio della Seconda repubblica, strutturato sui territori. Paiono in grande spolvero i governatori, Zaia, Fedriga, Fontana: a uno di questi, pragmatici e non ciarlieri, potrebbe toccare un giorno di prendere in mano le redini. Giorgetti?  Per lui i rumors sono di altra natura: lo stimava Napolitano, ce l’ha sempre al suo fianco Draghi, è un personaggio che naviga con disinvoltura nel mare della politica romana, pur avendo remato da giovane solo sul lago con la barca del padre pescatore. Vuoi vedere che ce lo troveremo a Palazzo Chigi se Draghi dovesse diventare presidente della Repubblica? Ma solo se la Lega non  si suicida. E torniamo alla comunali del 3 a 4 ottobre dopo i comizioni di domenica, quello di Varese in piazza del tribunale attorno all’Antropotauro di Salvatore Fiume che mostra ogni giorno i suoi potenti attributi a giudici e avvocati. Qualcuno li aveva avvolti in una bandiera, magari per evitare metafore. La partita nella città-simbolo è Galimberti vs Bianchi. Poi c’e quella più importante: convincere la gente a tornare alle urne. Alle comunale del 2016 cinquanta su cento restarono a casa.     

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