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Missili e dollari

  • Gianni Spartà
  • 19/03/2022
  • 0

Il default russo

E poi ci sono i russi, il lato nascosto di questa guerra vigliacca, quello che i tg non dicono perché il satrapo tiene botta sul fronte delle notizie. Le strozza. In queste ore tragiche ne è trapelata una: i morti di Putin, solo quelli in divisa, sono settemila. Più che in Cecenia e in Afghanistan, più ufficiali che soldati semplici, più uomini informati dei fatti che ragazzi ai quali l’aggressore aveva fatto dire: non preoccupatevi, è solo una esercitazione militare, finirà subito. Peserà questo sui tavoli della difficile tregua? Pensiamo di no. Forse peserà di più la delusione provata da investitori di Mosca accorsi in banca a riscuotere cedole di prestiti obbligazionari in dollari: hanno avuto un bel due di picche. Si parla di una Russia sull’orlo del baratro finanziario, secondo alcuni analisti già in default non solo per il rublo degradato a spazzatura. Sarebbe ancora più cocente per l’umanità intera vedere che i soldi contano più dei missili, che il teatro di Kiev spazzato via dalle bombe impressiona meno del vano assalto alle banche con le casse vuote. Ma noi che la guerra la vediamo dal salotto di casa; noi che apriamo le porte e bambini e famiglie in arrivo da Kiev su corriere e van; noi che adesso conosciamo il significato della parola profughi: ce n’è voluto di tempo durante il quale il Mediterraneo s’è trasformato in ossario; insomma, noi italiani lontani tremila chilometri che cosa pensiamo di questa maledetta primavera? Finirà con un accordo in quindici punti stilato dalle Nazioni Unite (1), continuerà perché nessuno dei due rivali vuole entrare uscire dalla cronaca come perdente (2), prima o poi per un “occasionale” incidente di confine, come insegna la storia, interverranno forze terze e allora la guerra non la guarderemo più in televisione ma ce l’avremo sullo zerbino di casa (3). Le ipotesi su un tappeto insanguinato sono queste, osservandole da non addetti, mentre le certezze sono altre. Eccole. Stiamo imparando molto e il titolo della lezione nella scuola immaginaria di ciascuno potrebbe essere: non è mai troppo tardi. Stiamo imparando perché per la prima volta le granate cadono in Europa tra Paesi visitati per cultura e per sport: quante trasferte, anche del cuore, a Mosca nella leggendarie sfide a pallacanestro tra Ignis Varesae Ignis e Armata Rossa, quante occasioni di visitare l’Ermitage a San Pietroburgo e di vedere galleggiare sul fiume Neva l’incrociatore Aurora che per primo soccorse i terremotati di Messina e di Reggio Calabria nel 1908. Stiamo imparando perché per la prima volta sono fuori campo gli americani con i loro meriti (ci hanno liberati dal nazifascismo) e i loro errori (Vietnam, Afghanistan: erano andati a portare la democrazia ma in entrambi i casi non l’hanno lasciata sul posto quando sono scappati in elicottero da Saigon e Kabul). Stiamo imparando perché, anche se non è la prima volta, qualcuno non si accontenta di governare uno stato, vuole ricostruire un impero, dimenticando che se ne dovettero fare una ragione anche i Romani duemila anni fa. E dire che dopo il crollo del comunismo Putin pareva orientato ad aprirsi all’Occidente, all’Europa, persino alla Nato (vertice di Pratica di mare). O cattivo sangue non mente o ha temuto il sorpasso economico della Cina su una nuova Via della Seta oppure qualcuno al di là dell’oceano  ha resuscitato in un tipo predisposto complessi d’inferiorità aggravati da megalomania. Le ruvidezze di queste ore tra Putin e Biden non annunciano nulla di buono. 

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Putin Ucraina

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